A una settimana dalle elezioni del Parlamento Europeo le conseguenze per gli assetti politico-istituzionali dell’Unione sono ancora tutt’altro che definite. Che sia così non deve stupire chi conosce il complesso sistema istituzionale dell’Europa che combina elementi di democrazia soprannazionale (appunto l’elezione diretta del PE) e una sorta di “condominio” delle democrazie nazionali che si esprime nel Consiglio Europeo e nel Consiglio dei ministri dove sono rappresentati gli esecutivi dei singoli stati, forti della loro legittimazione democratica nazionale.

La nomina delle principali cariche che nei prossimi cinque anni governeranno l’Unione (presidenza della Commissione, presidenza del parlamento Europeo, presidenza del Consiglio europeo, Alto commissario per la politica estera e poi i vari componenti della Commissione) dipenderà dall’accordo tra le due componenti della
democrazia europea, quella diretta e quella indiretta. Per noi semplici elettori europei questo processo può apparire complesso e faticoso da decifrare ma dovremmo essere orgogliosi di poter usufruire, grazie al paziente lavoro di integrazione europea dei decenni passati, sia dei tradizionali strumenti delle nostre democrazie nazionali, ai quali certamente non vogliamo rinunciare, che di quelli di una più ampia democrazia continentale.
Osserviamo allora che cosa è successo in queste due dimensioni della politica europea.

Partiamo dal Parlamento europeo. Se guardiamo la sua configurazione complessiva uscita dalle recenti elezioni constatiamo un quadro di prevalente continuità. Il Partito Popolare Europeo, che guadagna alcuni seggi, esce confermato come di gran lunga il principale partito europeo e la componente essenziale per ogni maggioranza. Nonostante le perdite (soprattutto in Francia) dei liberali di Renew Europe, la maggioranza composta da PPE,
Socialisti e liberali rimane quella più plausibile per guidare l’Unione. Una coalizione alternativa, vagheggiata da alcuni, formata dal PPE e dai due raggruppamenti di destra (Conservatori e Identità e Democrazia) non avrebbe i numeri per una maggioranza parlamentare, ma soprattutto non sarebbe possibile politicamente poiché l’estrema destra di  Identità e Democrazia (guidata da Le Pen e Salvini), ma anche importanti componenti dei conservatori (come il PIS polacco) risultano incompatibili per il PPE.

Poiché però, stante la scarsa disciplina dei gruppi parlamentari del PE, le maggioranze (a partire dal quella che dovrà confermare la presidenza della Commissione) possono essere ballerine, diventano rilevanti altre componenti che potrebbero aggiungersi alla maggioranza PPE-Socialisti-Liberali ma senza sostituirla. In particolare i Verdi hanno dichiarato la loro disponibilità. Meno chiaro è se qualche componente dei conservatori (in particolare quella ceca e o quella italiana) possa entrare in questo gioco. Decisiva qui è la strategia che queste componenti vogliono seguire: quella di una unione delle destre che precluderebbe un rapporto con la maggioranza o invece quella di un aggancio alla maggioranza tradizionale.

Questo è forse l’elemento di maggiore incertezza al momento attuale. Le scelte che farà il capo del governo italiano, Meloni, sono quindi rilevanti, ma anche quelle degli altri leader europei (in particolare di quelli che devono sfogare qualche frustrazione postelettorale). Certo una marginalizzazione dell’Italia sarebbe un dato molto negativo per il paese ma anche per l’Unione.

Passiamo poi all’altra faccia delle elezioni europee, cioè la loro dimensione nazionale. Poiché le elezioni europee sono ancora prevalentemente combattute da partiti nazionali, i risultati, anche se non hanno una rilevanza diretta sugli assetti istituzionali degli stati membri, si riverberano però sui loro scenari politici (e attraverso questi poi anche sulle istituzioni europee, come il Consiglio Europeo, che da questi dipendono). Su questo fronte si registra una varietà di risultati in alcuni casi positivi per le forze politiche al governo in altri invece negativi. Risultati positivi per la maggioranza al governo in Polonia, così come per quella italiana o per quelle dei paesi scandinavi e baltici che vedono confermato il loro sostegno elettorale. Nettamente negativi invece in Francia e Germania. Ma mentre in Germania la compagine governativa a guida socialista, che gode di una maggioranza in parlamento, può cercare di riguadagnare consensi da qui all’autunno 2025 quando si terranno in ogni caso le elezioni del Bundestag, in Francia il presidente Macron, che già da tempo non ha una maggioranza parlamentare che gli consenta di governare efficacemente, ha scelto la strategia choc dello scioglimento del parlamento accettando il rischio di una sconfitta e
quindi di una “coabitazione” con un governo della destra lepenista (o meno probabilmente delle sinistre unite).

I primi sondaggi segnalano che questo potrebbe essere proprio il risultato delle prossime elezioni parlamentari. Quali conseguenze avranno questi sviluppi sulle decisioni europee? In teoria al livello europeo più alto poche, perché Macron secondo la tradizione francese continuerà a sedere nel Consiglio europeo anche se il primo ministro
sarà un esponente del Rassemblement National e il problema non si porrà nel caso del cancelliere tedesco. Ma nei consigli dei ministri europei dove si prendono decisioni fondamentali siederebbero i ministri francesi espressi dalla nuova maggioranza antimacronista! Sembra chiaro comunque che sia Macron che Scholtz saranno più deboli sulla
scena europea e parallelamente sarà maggiore il peso dei capi di governo del Partito Popolare nel Consiglio europeo. Si rafforzano così anche le chances della candidata dei popolari, Ursula von der Leyen, di ottenere la presidenza della Commissione.

Con il secondo mandato la sua influenza sulla politica europea dovrebbe aumentare, soprattutto se saprà gestire con abilità le componenti aggiuntive della maggioranza (Verdi e pezzi dei Conservatori). (Segue)

Maurizio Cotta

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