Quattro i fatti di ieri sono importanti da registrare. Il G 20 ha deciso di immettere cinquemila miliardi di dollari nell’economia mondiale per fronteggiare le conseguenze del Coronavirus. L’Italia ha reagito duramente alla bozza sugli aiuti predisposta dalla Ue trovandosi d’accordo con Francia e Spagna. L’impennata del numero dei nostri nuovi contagiati. L’arrivo sulla scena politica italiana di Mario Draghi con un articolo pubblicato del Financial Times ( CLICCA QUI ) che ha in parte anticipato le decisioni che si apprestavano a prendere in videoconferenza i 20 più potenti della terra. Soprattutto questo ultimo sembra aver ulteriormente arricchito la fibrillazione della politica nostrana.
Quello dell’arrivo di Draghi è,infatti, tema serpeggiante da tempo. Almeno da quando l’ex Governatore della Bce ha imposto il Quantitative Easing alla Germania e ha sferrato un primo colpo di piccone alla visione ultra liberista perseguita da ambienti tedeschi e nord europei da lui costretti, sia pure con grande riluttanza, a dare un po’ di respiro alle economie più deboli.
Poi, in realtà, sarebbe stato ancora tutto da vedere quanto la consistente mole di denaro distribuito avrebbe finito per risollevare davvero l’economia continentale se non fosse arrivato il Coronavirus. Quel bilancio oggi passa in secondo piano, costretti come siamo a confrontarci con un ulteriore cambiamento di scenario. Adesso, infatti, è richiesto un ben più generoso allargamento del cordone della borsa. Questa volta, non interessandosi più solamente del debito pubblico e delle condizioni del sistema finanziario, questioni che pure torneranno tra le preminenti non appena la vicenda sanitaria sarà mitigata.
Mario Draghi, come ci dice Enrico Seta ( CLICCA QUI ), con un gran “senso del tempo”, viene a confermarci quello che da molto anche noi sosteniamo: la necessità di mettere la parola fine a un liberismo sfrenato, responsabile principale della divaricazione della distribuzione di risorse tra ricchi e poveri, dell’arretramento della cosiddetta economia reale, della gravissima crisi del ceto medio e dell’allargamento dell’area delle nuove povertà.
La sua uscita ha subito riscosso il plauso, quanto strumentale vedremo, di alcuni dei cosiddetti sovranisti nostrani. E’ soprattutto Matteo Salvini, a lungo nemico giurato di Draghi, che prova ad utilizzare le dichiarazioni dell’ex capo della Bce per allargare le difficoltà del Governo Conte e della maggioranza. Così facendo, Salvini si riavvicina ad alcuni dei suoi che lo hanno sempre invitato ad una maggiore prudenza in materia di Europa e di Euro. Molto più fredda Giorgia Meloni, a conferma di quanto Draghi divida anche la destra.
Credo che questo non sfuggirà all’ex capo della Bce. Egli non è un politico di professione, ma ha tutta una vita alle spalle passata ad occuparsi di ciò che più conta e più influenza la politica. Non gli sfuggirà, dunque, che molti suoi nuovi sostenitori, in realtà puntano all’ulteriore deflagrazione del quadro politico nazionale in un momento in cui forte è l’urgenza di affrontare un nemico potente e contagioso e che, ancora mi ricollego all’articolo di Enrico Seta( CLICCA QUI ), il problema non è Mario Draghi in sé, bensì la definizione di un progetto realmente perseguibile e il disegno di un intero quadro di riferimento e d’impegno; possibile e sostenibile.
Prima di correre a vagheggiare nuovi concreti scenari politici, si tratterà di vedere se il suo articolo significhi una reale “discesa in campo”. O l’inevitabile sigillo di ceralacca impresso alla fine di una stagione da una persona intelligente che ha pure il coraggio di misurarsi con ciò di cui è stato “pars magna”.
In ogni caso, credo si debba guardare alle dichiarazioni di Draghi per il loro contenuto senza lasciarsi prendere dalla solita, immancabile dietrologia del politichese italiano e dalla tendenza a giudicare prima la persona e poi, se ci va, a prendere in considerazione le sue opinioni. Quel che conta, e la sua voce in questo è indubbiamente autorevole, è l’importante invito a cambiare presupposti e prospettive delle politiche dell’Europa e dell’Italia.
Soprattutto se, andando oltre il dato economico, certamente preminente, ma non completamente assorbente e risolutivo, questo significa cogliere la necessità di avviare una reale trasformazione del Paese, così come sosteniamo da tempo e abbiamo ribadito nel nostro Manifesto ( CLICCA QUI ).
E’ bene che il liberismo americano e quello britannico siano costretti a misurarsi con la dura realtà e a iniettare ingenti risorse pubbliche per sostenere attività produttive e commerciali e famiglie. E’ il rovesciamento della tendenza di una lunga stagione internazionale che molto ha colpito i più deboli, stati o imprese che siano.
Sarà molto importante, però, vedere come i previsti ingenti stimoli finanziari saranno gestiti per evitare, dopo trent’anni, di dover riparlare d’inflazione a due cifre. Quell’inflazione che tanto è stata presa a giustificazione tedesca di tutte le politiche di austerità. Quell’inflazione che, da quando è storia, è sempre pagata dai più poveri. I governanti, allora, dovrebbero una volta tanto preoccuparsi di risolvere i problemi strutturali di un’economia destinata da tempo a cambiare, come spesso li hanno invitati a fare i Pontefici.
Se questa trasformazione non avverrà, supereremo sicuramente l’attuale crisi con l’introduzione di un gigantesco “reddito di cittadinanza” a livello mondiale (gli Usa si apprestano a distribuire 1.200 dollari a cittadino), ma non ridaremo un futuro a tante piccole e medie aziende e non risponderemo adeguatamente alla disoccupazione.
Il modo in cui sono state valutate le apprezzabili considerazioni di Mario Draghi, e gli evidenti tentativi di una loro strumentalizzazione, credo rendano necessario il ribadire la considerazione che il leaderismo, la visione dell’uomo solo al comando, costituisca uno dei mali che ha portato l’Italia nelle condizioni in cui si trova in questi giorni. Lo valeva prima del Coronavirus, è valso con il Governo Monti, varrà per eventuali future esperienze simili.
In realtà, si deve andare molto più a fondo. C’è bisogno di un completo rinnovamento del ceto dirigente. E’ indispensabile abbandonare la logica burocratica per dare nuova sostanza ad un impegno originale verso la cosa pubblica, il che non significa ignorare regole e controlli, anzi. Devono essere finalmente affrontate storiche carenze e asimmetrie geografiche e sociali e questo può essere ottenuto solo perseguendo una trasformazione del metodo politico e delle istituzioni, processo cui tutti possono, anzi debbono, portare un contributo. A partire da uomini valenti e capaci, com’è nel caso di Mario Draghi.
In ogni caso, restano pure delle valutazioni oggettive che riguardano i dati reali in cui versa l’attuale equilibrio parlamentare, dove i numeri sono gli stessi cristallizzati nel risultato del 4 marzo del 2018 il quale non viene mutato dai sondaggi d’opinione o dagli editoriali dei giornali.
Così, un’ipotesi Draghi a Palazzo Chigi oggi potrebbe essere resa possibile solamente da un forte sommovimento che coinvolga assieme 5 Stelle e Pd e un altrettanto significativo smottamento interno all’intero centrodestra. Ma c’è davvero questa intenzione? Abbiamo chi getta il cuore oltre l’ostacolo ed è pronto ad assumersi precise responsabilità? Il che significa mettere in gioco la propria posizione, nella Lega, come nei 5 Stelle, o nel Pd, per avviare quella necessaria opera rigeneratrice alla Moro che consiste nello “scomporre per ricomporre”.
Alto è il rischio che questo coraggio sia sostituito, in realtà, dal tentativo di utilizzare Draghi solamente per agitare il quadro politico nazionale senza puntare all’avvio di quel processo nuovo ed originale di cui il Paese ha bisogno. Ma forse è proprio ciò che non vuole una buona parte del nostro attuale ceto dirigente. E questo Draghi lo sa!
Giancarlo Infante