La crisi di governo in qualche modo sarà risolta ma intanto ha già dato due segnali positivi non di poco conto.
Primo. Finalmente si è capita la rilevanza decisiva del Recovery Fund, (ora detto Next Generation Eu), e quindi che cosa dovrebbe essere il Piano italiano per accedere alla più gigantesca operazione di rilancio degli investimenti e di avvio delle riforme. Il documento finora proposto dal governo (detto Pnrr) è stato giudicato generico, inadeguato e insufficiente e quindi sbagliato. Sono indicati i settori nei quali intervenire, peraltro già previsti dalle Raccomandazioni europee, ma non vi è traccia di progetti concreti, dei tempi previsti e delle modalità di intervento.
Lo aveva già fatto capire da Bruxelles il nostro Commissario Paolo Gentiloni, personaggio certo non sospetto, come pure Confindustria, i Sindacati, il CNEL, la Banca d’Italia e molti altri protagonisti non solo del mondo economico e finanziario ma anche della università, della scuola, della ricerca, della sanità, del terzo settore. Pochi e sbiaditi gli interventi sull’argomento del presidente Conte, già costretto a ritirare una prima versione del piano ancora più generica e carente. Quanto al vituperato Renzi, anche i suoi avversari ammettono che senza il suo perentorio intervento, giunto sino al punto di ritirare due ministri, saremmo ancora una volta giunti in ritardo e male all’appuntamento europeo ponendo a rischio l’occasione irripetibile di far ripartire il Paese.
Il segnale ora è chiaro e al centro dei problemi per la formazione del nuovo governo c’è il piano per accedere al Recovery Fund e non si può più scherzare.
Secondo. Altro risultato di non poco conto che consegue alla crisi di governo, anche se meno appariscente, è il naufragio della pretesa di risolvere il problema della maggioranza improvvisando una forza politica composta da una dozzina di parlamentari senza bandiera dopo avere cambiato casacca, alcuni dei quali più volte.
Il trasformismo, che pure nella storia del nostro Paese dalla unità ad oggi ha avuto una parte non del tutto irragionevole, è ben altro che il meschino tentativo di assicurare qualche voto vagante a una coalizione. Passi cercare i voti, come ha tentato legittimamente Tabacci, ma da qui a immaginare una forza politica inventata come presumeva qualcuno ce ne passa.
Questi due segnali sono tanto più significativi in quanto sopraggiungono in una fase delicata della vita politica italiana, quando il torpore della infinita seconda repubblica induceva soltanto alla noia.
L’imperativo categorico della ricerca del consenso a tutti i costi dovrebbe lasciare il passo, almeno in questa congiuntura, al confronto anche aspro tra le diverse posizioni e accompagnato, speriamo, da qualche grado in più di capacità dei protagonisti. Lo stesso linguaggio della politica, fatto di tweets, slogan e utilizzo indiscriminato della rete dovrebbe, finalmente lasciare spazio alle analisi realistiche dei problemi che restano aperti, e sono molti.
Il debito pubblico è quasi da default dopo i cento miliardi di euro stanziati per interventi di emergenza, ristori e provvidenze varie.
I mercati sono solo in attesa, nonostante gli ultimi giudizi di Standard & Poor’s , ed hanno il coltello nascosto cercando di capire se i nostri titoli resteranno da confrontare, sia pure a distanza, con i bund tedeschi o piuttosto con quelli greci.
La BCE continua ad acquistare il nostro debito ma fino a quando non si sa, tenuto conto che la sua funzione primaria è ben altra.
La pandemia morde ancora, sollecita in modo permanente le autorità a non abbassare la guardia e tra non molto farà emergere in modo ancora più vistoso i problemi non solo sanitari ma anche economici e sociali che già affiorano.
Altri dossier aperti affollano l’agenda del futuro governo: da Alitalia della quale non si parla più, a ex-Ilva che tra poco non sarà ancora in grado di pagare i salari; da Atlantia a Montepaschi, alla scuola in sofferenza, alla sanità da riorganizzare, alla politica mediterranea dove siamo stati importanti ed ora non sembriamo nemmeno esistere.
Ecco perché il vero problema non è la conferma o meno del premier Conte ma piuttosto l’esistenza di una maggioranza effettiva e capace di esprimere un governo stabile da qui alla fine della legislatura. Il Presidente Mattarella lo ha capito, e non si è limitato a prendere atto di una situazione e verificare i numeri ma si è assunto con coraggio la responsabilità di accertare se questa maggioranza esiste ancora.
Guido Puccio