Il PD propone, così pare, in opposizione al “premierato” di Giorgia Meloni, l’adozione nel nostro Paese del modello istituzionale tedesco. Gli va dato atto, sempre che mantenga la posizione e la sostenga con convinzione unitaria, di aver avanzato – sia pure finora, solo a livello di dichiarazioni sparse, senza l’ ufficialità di un documento organico ed impegnativo – una proposta condivisibile, in linea generale, da parte delle forze che intendono difendere la centralità del Parlamento e della democrazia rappresentativa, cioè l’architrave del nostro ordinamento democratico e costituzionale.

E’ senz’altro opportuno che alla proposta di riforma costituzionale avanzata dal governo, si risponda anche ricercando soluzioni alternative, orientate ad una maggiore stabilità degli esecutivi. Preoccupazione quest’ultima che, dagli anni della prima repubblica, abbiamo tranquillamente trasferito alla seconda, con l’aggravante dell’abbondante ricorso a “governi tecnici” e tutto ciò a dispetto delle salvifiche virtù di un’ “alternanza”, mai pervenuta, secondo quella funzione di equilibrio che ci si attendeva, ed, anzi, supplita dalla contrapposizione pregiudiziale, che conosciamo.

La contrarietà al premierato, infatti, non nasce da una sorta di “tabù” reverenziale nei confronti della Costituzione, ma piuttosto dalla natura inaccettabile della proposta. In secondo luogo, ogni qual volta si affronti un tema che abbia a che vedere con riforme dell’ordinamento democratico, va tenuto presente che non esiste, né può esistere, un’ architettura istituzionale che sia talmente virtuosa da produrre meccanicamente, per una necessità intrinseca ad un sistema così congegnato, il risultato atteso di una governabilità che sia, nel contempo, stabile ed efficace. Di mezzo c’è pur sempre la politica. E’ l’ “intenzionalità” di quest’ultima, la visione complessiva entro cui si compongono le sue singole determinazioni, a fungere da fattore dirimente.

Lo sapeva bene e ce lo insegna Aldo Moro, che – senza trascurare, ovviamente, il versante istituzionale – ha sempre privilegiato l’acutissima attenzione di cui era capace nei confronti dei processi sociali in corso e della loro interpretazione in chiave politica. Del resto, è giusto che della “durata” degli esecutivi ci si preoccupi in sé’, ma, soprattutto, in funzione della continuità e della coerenza interna delle politiche – in modo particolare gli indirizzi concernenti la collocazione internazionale dell’ Italia – che devono guidare l’ evoluzione del Paese, lo sviluppo della sua maturità civile e delle condizioni di vera libertà e di giustizia sociale da assicurare ai cittadini.

Durata, stabilità e coerenza interna degli indirizzi di governo stanno insieme, eppure ciascuno di questi tre momenti gode di una sua specificità. Negli anni della prima repubblica al rapido turnover dei governi ha corrisposto una importante continuità di indirizzo, sul piano delle strategie – a cominciare dall’ attenzione al costante e progressivo allargamento delle basi democratiche dello Stato – che hanno rappresentato le fondamenta che tuttora reggono la nostra condizione di democrazia e di libertà.

La governabilità di un sistema complesso è una funzione della piena espressione e della efficace rappresentanza delle articolazioni che lo abitano. Non è vero il contrario, non è appropriata la postura in cui abbiamo troppo indugiato – grazie alle leggi elettorali maggioritarie ed alla contrapposizione polare di destra e sinistra che ne è derivata – cioè il ritenere che si possa rafforzare la governabilità, comprimendo e sacrificando la rappresentanza.

Domenico Galbiati

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