Wall Street vola e il Nasdaq, l’altra borsa telematica americana, è ai massimi storici. Ieri anche Parigi e Francoforte hanno toccato i massimi. Che cosa succede?
Eppure proprio per questa settimana ci si aspettava che Jerome Powell, il potente capo della banca centrale americana (la FED) alzasse la paletta rossa per annunciare l’inizio di una politica monetaria più restrittiva, tagliando gli acquisti oggi di 120 miliardi di dollari al mese di titoli del Tesoro e di bond garantiti. Invece no, la riduzione attesa dai mercati che erano già in agguato è stata contenuta in soli 15 miliardi di dollari al mese. Per il resto se ne parlerà più avanti.
Anche i tassi di interesse, che erano attesi al rialzo, sono rimasti invariati e questo è ciò che più conta in chiave di stimolo della economia USA. In effetti il “cavallo beve” come si dice: produzione consumi e investimenti sono in aumento ma le autorità monetarie vogliono vedere consolidarsi anche la creazione di nuovi posti di lavoro per dare concretezza alla crescita. Anche se in ottobre sono stati creasti 500 mila nuovi posti di lavoro, non è un caso che il Presidente Biden abbia annunciato, nel corso del recente G20 romano, interventi per 1.750 miliardi di dollari a favore del ceto medio e in particolare per interventi nella sanità. Quindi un nuovo stimolo per l’economia.
Gli ultimi dati sull’andamento dell’occupazione confermano che gli USA hanno quasi già recuperato i livelli pre-Covid, mentre in Europa questo obiettivo è atteso per il prossimo anno, a condizione che la ripresa continui con i ritmi degli ultimi trimestri.
Non si può certo dimenticare che gli interventi di politica economica in America hanno effetti molto rapidi mentre noi abbiamo pur sempre diciannove governi diversi nell’area dell’Eurozona. Questo vuol dire politiche diverse da concordare e soprattutto strumenti di intervento diversi. Per fortuna per la moneta c’è la BCE che conta.
In questo confronto tra le due grandi economie atlantiche gioca un ruolo, per ora non ancora decisivo, l’inflazione ormai oggetto di attenzione continua.
I violenti aumenti dei prezzi delle materie prime, dei trasporti e della logistica sono il frutto di una ripresa che si è verificata più rapidamente di quella attesa ed ha portato il tasso di inflazione al 5,4% in America e al 4,1% nell’Eurozona. Le due curve sono divergenti ben oltre l’obiettivo del 2% o poco più, percentuale ritenuta fisiologica e target delle politiche monetarie su entrambe le sponde dell’Atlantico. Ma sia alla FED (come pure al Tesoro dove Segretaria di Stato è la energica Janet Yellen) sia alla BCE hanno il sangue freddo e il polso fermo e di fatto concordano nel ritenere temporanea questa spinta.
Fanno eccezione, come al solito, i tedeschi e frugali del nord europeo che vorrebbero già intervenire raffreddando la ripresa con un più alto costo del denaro e soprattutto riducendo gli acquisti di titoli da parte della BCE.
Su chi avrà ragione lo sapremo molto presto, certamente non oltre la metà del prossimo anno e gli interventi, se ve ne sarà l’esigenza, non si faranno certo attendere. Per ora è importante constatare che prevalgono ancora una volta le decisioni di consolidare la crescita, confermata anche nel trimestre in corso, sperando che prudenza e moderazione continuino ad ispirare le decisioni delle due banche centrali.
L’occasione di discutere con tedeschi, frugali, monetaristi e banchieri da cassetta, certo non mancherà.
Guido Puccio