L’ articolo che ieri Ezio Mauro, su Repubblica, ha dedicato a Forza Italia non è da trascurare. Lo scrive un giornalista autorevole che dà prova di onestà intellettuale ed ha suscitato, a dispetto del clima ancora ferragostano, qualche attenzione significativa. Non a caso.

Del resto, giunge inaspettato e, a suo modo, invita a rompere il circolo vizioso di una catalessi del nostro sistema politico che si avvita senza posa su sé stesso, come un criceto impazzito che percorra incessantemente la ruota della gabbia che lo imprigionato. Destinato a un’avvilente “surplace”, a dispetto dell’affannosa corsa.

Per parte nostra – e ci auguriamo di non sbagliare – vi leggiamo una certa consonanza con l’auspicio di una “coalizione popolare e liberal-democratica” che su queste pagine è stata – da qualche tempo, in verità – in più occasioni adombrata.

In modo particolare, in una nota comparsa su queste pagine – “E se Forza Italia…?”, lo scorso 22 luglio (CLICCA QUI) – incardinato su questo concetto : “……una forza politica che, come Forza Italia, molti consideravano giunta al capolinea con la scomparsa del suo fondatore, oggi si trova per inaspettata virtù propria e per la costellazione di eventi in cui siamo immersi, ad avere nelle sue mani le chiavi del sistema politico e della sua possibile evoluzione, al di là delle schematizzazioni ideologiche che oggi soffocano la politica italiana. …..l’Italia ha bisogno di una coalizione liberal-democratica e popolare”.

Resta vero, comunque, un concetto: non abbiamo bisogno di un “centro” inteso come momento – o palude? – di moderazione e di equilibrio che finisca, in un modo o nell’altro, rabberciandolo, per restituire una qualche legittimità smarrita al sistema maggioritario-bipolare, chiaramente esausto.

Abbiamo, piuttosto, bisogno ( e qui torna il concetto di “trasformazione”, caro ad INSIEME ) di un nuovo punto d’attrazione – e se fa piacere chiamiamolo pure “centro” – che sia esterno ed alternativo all’obbligata conflittualità acritica e permanente che ci perseguita e finisce per fondare il “discorso pubblico” del nostro Paese sulla logica perversa e distruttiva della reciproca delegittimazione dei suoi attori.

Domenico Galbiati

 

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