Il 29 luglio 1961 rimarrà un giorno storico per la Basilicata. Dopo tante lotte, scioperi e agitazioni, finalmente Enrico Mattei inaugurò le industrie in Valbasento, alla presenza del Capo del Governo, Amintore Fanfani e di un giovanissimo Ministro dell’Industria, il lucano Emilio Colombo. Mattei volle creare un polo industriale per dare lavoro e sviluppo a una terra povera ed emarginata. E, dopo pochi anni, già si videro i primi risultati. L’emigrazione si ridusse drasticamente, mentre le economie locali e il reddito dei cittadini ne trassero grandi vantaggi. I figli dei contadini, finalmente, non dovevano fermarsi più alla quinta elementare. I più bravi e determinati arrivavano addirittura all’università e tornavano a casa con il titolo di Ingegnere, Medico o Professore.
In pochi anni, cambiarono i costumi, la mentalità, e i ritmi della vita. I giovani, finalmente, potevano decidere del loro futuro e non più subirlo. In passato, non era così. Erano costretti dalla povertà e dall’ignoranza, a ereditare dai genitori i mestieri più umili e faticosi. Ecco perché, per i tempi di allora, Il Piano Mattei, rappresentò una svolta epocale. Se ne avvantaggiarono non solo i paesi della Valbasento ma tutta la provincia di Matera e, di riflesso, l’intera Basilicata. Volendo fare un riferimento a quelle grandi trasformazioni sociali provocate dal Piano Mattei, una cifra valga per tutto. Nel trentennio 1960/80, nella sola Valbasento furono occupati, tra operai, tecnici e periti, più di settemila lavoratori. Compreso tutto l’indotto che gravitava intorno a quelle due grandi realtà industriali che furono la Pozzi/Liquichimica a Ferrandina e l’Anic a Pisticci. Ecco i risultati che produsse il Piano Mattei per la Basilicata. Senza considerarne altri, di natura civile, culturale e sociale che coinvolsero tutta la società lucana. La quale, con tenacia e intelligenza riuscì a passare, non dopo secoli, ma dopo pochi decenni, dal Cristo di Carlo Levi a Matera Capitale europea della Cultura. Purtroppo, il corso della storia in Basilicata e nelle altre regioni del Sud, non è stato sempre così lineare come tanti auspicavano. E non sempre, come sosteneva Giambattista Vico, la visione provvidenziale della Storia è riuscita a spiegare tutto quello che succede intorno a noi.
Proprio come in questo difficilissimo momento storico che sta attraversando l’Italia, l’Europa e l’intero Medio Oriente. Ora, con tutte queste emergenze che ci stanno piovendo addosso, vorremmo fare una sola domanda: è fattibile, solo con le nostre forze, un Piano Mattei per l’Africa? Un Piano, detto per inciso, che ha eccellenti finalità. Studiato per stroncare, una volta per tutte, il traffico di esseri umani, l’immigrazione clandestina e per scongiurare, per quanto possibile , questa lenta “invasione” di disperati che corrono sempre più numerosi verso il “paradiso terrestre” dei paesi europei.
Prima di esprimere un’opinione, critica o propositiva che sia, vediamo, in poche parole, in cosa consiste questo Piano Mattei.
Il Progetto prevede di investire 5,5 miliardi di euro tra crediti, donazioni e garanzie, attraverso il Fondo italiano per il clima e il Fondo per la cooperazione allo sviluppo. Si focalizza su quattro aree di intervento: energia, ambiente, infrastrutture e migrazioni. L’idea è quella di sostenere la transizione energetica e la lotta ai cambiamenti climatici in Africa, favorendo la diversificazione delle fonti e la riduzione delle emissioni. Inoltre, il Piano mira a migliorare le infrastrutture di trasporto, comunicazione e sanità, per favorire l’integrazione regionale e la resilienza delle comunità. Infine, intende affrontare le cause profonde delle migrazioni irregolari, offrendo opportunità di sviluppo, istruzione e occupazione ai giovani africani. C’è da aggiungere, per completezza d’informazione, che Il Piano Mattei non riguarda solo l’Africa, ma anche le nostre regioni meridionali. Il Mezzogiorno, infatti, ha una posizione strategica nel Mediterraneo. E questo lo rende un potenziale hub energetico e commerciale tra l’Europa e l’Africa.
Tuttavia, il Mezzogiorno soffre di ritardi e disparità rispetto al resto dell’Italia e dell’Europa, a causa di problemi storici, economici, sociali e istituzionali. Per questo, il Piano Mattei potrebbe rappresentare un’opportunità di rilancio e di crescita per il Mezzogiorno, solo se saprà coinvolgere le sue risorse umane, culturali e naturali e se sarà accompagnato da sagge politiche di coesione e di sviluppo. In conclusione, il Piano Mattei è un’ambiziosa iniziativa di cooperazione internazionale che si propone di creare una partnership strategica tra l’Italia e l’Africa, basata soprattutto sullo sviluppo sostenibile e sulla sicurezza. Questo progetto, però, ha anche una dimensione nazionale che riguarda il Mezzogiorno d’Italia. Un territorio che ha bisogno di maggiore attenzione e sostegno da parte del governo e dell’Europa. Il Piano Mattei, a pensarci bene, potrebbe trasformarsi in un’occasione di rinnovamento e di integrazione per il Mezzogiorno, solo se saprà valorizzare le sue potenzialità e affrontare le sue criticità. Che poi, fatte le debite proporzioni, sono le stesse di quelle dei paesi africani. E cioè istruzione, sanità ed energia. Esattamente i settori strategici per i quali, in Italia, ma soprattutto al Sud, manca qualunque programma di lungo periodo.
E allora, quale potrebbe essere un eventuale Piano Mattei per il nostro Mezzogiorno? Intanto diciamo subito che le varie Zes istituite al Sud, le Zone Economiche Speciali, incominciavano a funzionare e anche abbastanza bene. Perché il Ministro Fitto le ha smantellate? E soprattutto perché la Zes unica non dà ancora segni di vita? Ce ne sarebbero provvedimenti da avviare al Sud. Tra i più urgenti, potremmo citare il potenziamento delle fonti di energia rinnovabile, come il solare, l’eolico, il geotermico, per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e contribuire alla transizione ecologica. A seguire, lo sviluppo di una rete di trasporti e comunicazioni efficiente e integrata, che colleghi il Mezzogiorno al resto del Paese e all’Europa, per favorire la mobilità delle persone e delle merci. Con un Piano del genere, si potrebbero ridurre le disuguaglianze regionali, stimolare la crescita economica e migliorare la qualità della vita delle persone, riqualificare le aree urbane, migliorando l’accessibilità, la vivibilità e la sostenibilità ambientale. E soprattutto potenziare i servizi sanitari, promuovere la prevenzione e migliorare la qualità della vita. Se questi progetti saranno ben pianificati e soprattutto realizzati, allora si potrà avviare una intelligente cooperazione economica con i paesi del Mediterraneo e dell’Africa, in particolare nel settore dell’agricoltura, del turismo, dell’istruzione e della ricerca.
Su questo Piano per l’Africa, in tanti hanno espresso forti perplessità. E tutte ampiamente comprensibili . Come farà l’Italia a onorare quest’impegno, con questo immenso debito pubblico che si ritrova? Come potrà conciliare quest’ obiettivo, con tutti i provvedimenti che dovrà finanziare per aiutare gli agricoltori, gli allevatori, i giovani, i poveri e chi ne ha più ne metta? Il nuovo patto di stabilità europeo non lascia molti spazi alla “finanza creativa”. Quella finanzia allegra e spensierata che, nel 2011, ci portò a un passo dal baratro politico. Il nostro Paese ha il dovere, (ci mancherebbe altro!) di aiutare, per quanto è nelle sue possibilità, i paesi africani devastati dalle guerre, dalle carestie e dalla povertà. Tra l’altro il Piano Mattei per l’Africa è stato congegnato per ottenere ricadute positive anche per il nostro Paese. Ma se anche quei pochi fondi destinati al Sud non arrivano a destinazione, come farà il nostro Governo a onorare i suoi impegni, così solennemente sbandierati, nei confronti dell’Africa?
Michele Rutigliano