Nella complessa configurazione istituzionale dell’Unione Europea le elezioni che si svolgono
tra pochi giorni non sono certo l’unico elemento che deciderà la capacità dell’Unione di
rispondere adeguatamente alle grandi sfide del momento. Gli orientamenti dei governi dei
paesi membri, che sono decisi dalle elezioni nazionali e che si riflettono sulla composizione
politica del Consiglio Europeo (dove siedono appunto i capi di governo), sono tuttora di
importanza primaria. Non si deve però sottovalutare il peso che avranno il Parlamento
Europeo e la sua maggioranza nella investitura del Presidente della Commissione e dei
commissari e poi nei prossimi cinque anni nell’attività legislativa della UE. Chi vuole
un’Europa più forte sa che il PE potrà dare un contributo importante.

Quali siano le sfide più importanti che abbiamo davanti come Unione e come stati membri
credo sia piuttosto chiaro:

1. La ricostruzione di un assetto di pace giusto e solido in Europa
dopo l’aggressione russa all’Ucraina e una più efficace capacità di presenza in altre aree
critiche del mondo (dal Medio Oriente all’Africa, all’Asia);

2. Una gestione risoluta ma insieme saggia delle politiche di contrasto al cambiamento climatico;

3. La promozione di uno sviluppo economico più rapido ma socialmente equilibrato in un continente come il
nostro che per tanti motivi cresce troppo lentamente.

Questo non vuol dire che non ci siano altri problemi rilevanti ma è prima di tutto sulla
capacità di rispondere a quelle tre sfide che si misurerà il successo dell’Unione. Ed è ben
chiaro che se anche qualche irresponsabile può scherzare con slogan come “più Italia, meno
Europa”, su quei tre fronti nessun paese europeo da solo potrà fare molto.

Se queste sono le sfide non di un domani lontano ma di un oggi che non aspetta, che cosa si
deve chiedere, anzi si deve fare per l’Europa? La prima cosa che ci si aspetta dalla classe
politica, ma anche dall’opinione pubblica è evidentemente quella di tenere ben ferma la
barra sulle priorità. E poi di focalizzare l’attenzione sugli strumenti necessari per avanzare sulla rotta con uno sguardo lungo ma anche con realismo e senza immaginare salti utopistici.

Per esempio questo può voler dire di fare tutto quello che è possibile anche con i trattati
vigenti o con correzioni parziali di questi senza aspettare la palingenesi di una nuova
costituzione europea. Le precedenti crisi ci hanno mostrato che l’Unione può fare molto
quando è presente una leadership dotata di visione e con la pazienza di costruire un ampio
consenso (ne sono buoni esempi la forte azione anticiclica e di contrasto alla crisi dei debiti
sovrani svolta dalla Banca Centrale Europea durante la crisi finanziaria e il Next Generation
EU nella crisi del COVID).

In vario modo tutte e tre le sfide citate richiedono, se non si vogliono accrescere le
divaricazioni interne tra gli stati membri sulla base della loro diversa disponibilità di spesa e
si vogliono ottenere dei risultati significativi, che l’Unione sia dotata di una capacità di
bilancio nettamente superiore a quella attuale. Una politica estera senza congrui
finanziamenti per la difesa, politiche climatiche senza massicci investimenti nelle nuove
tecnologie, e un rilancio dello sviluppo senza una politica industriale dotata di cospicue
risorse sarebbero sogni lontani dalla realtà. Se invece si vuole fare sul serio due passi sono
indispensabili: accettare su basi stabili (e non solo provvisorie come è stato con il Next
Generation EU) un debito europeo comune e accrescere le risorse proprie della UE con
nuove entrate fiscali comunitarie. Se non si persegue gradualmente ma decisamente questa
strada tutto resta a livello di chiacchiere.

Naturalmente questa strada richiede la costruzione di un largo consenso (e anche una buona
dose di scambi politici). Su alcuni aspetti una strada, anche se non ideale ma realistica, può
essere inizialmente quella di una “coalizione dei volenterosi” come avvenne in forme
istituzionali con la creazione del MES per aiutare i paesi con crisi del debito sovrano e come
sta già accadendo in maniera meno formalizzata per gli aiuti militari all’Ucraina. Purchè ci sia
la prospettiva di una progressiva incorporazione di queste soluzioni nell’assetto istituzionale
dell’Unione. Dai partiti e dai leader europei ci aspetteremmo qualche chiaro
pronunciamento su questi tremi almeno negli ultimi giorni di campagna elettorale. (Segue)

 Maurizio Cotta

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