I recenti drammatici e tragici eventi avutisi in Afghanistan hanno riportato all’attenzione delle coscienze, e anche del dibattito politico, se sia morale cercare di esportare la democrazia mediante la guerra, cioè occupare militarmente o applicare sanzioni economiche nei confronti di un paese nel quale si reputi che non vi sia democrazia, il che comporterebbe la presenza di un “gendarme del mondo”: uno Stato da solo, o operando in partecipazione con altri, o un’istituzione sovrannazionale disposti a intervenire per imporre un sistema politico democratico là ove questo non esista.
Ora, si deve avere ben presente che la democrazia è fondamentalmente un “ordinamento” e, come tale, uno strumento e non un fine. Il suo carattere “morale” non è automatico, ma dipende dalla conformità alla legge morale a cui, come ogni altro comportamento, deve sottostare; dipende cioè dalla moralità dei fini che persegue e dei mezzi di cui si serve. L’autorità politica deve garantire la vita ordinata e retta della comunità, senza sostituirsi alla libera attività dei singoli e dei gruppi, ma disciplinandola e orientandola, nel rispetto e nella tutela dell’indipendenza dei soggetti individuali e sociali, verso la realizzazione del bene comune. Il soggetto dell’autorità politica è il popolo, considerato nella sua totalità quale detentore della sovranità, ma il solo consenso popolare non è tuttavia sufficiente a far ritenere giuste le modalità di esercizio dell’autorità politica; né il sistema democratico dev’essere concepito in una mera prospettiva agnostica e relativistica che induce a ritenere la verità come prodotto determinato dalla maggioranza e condizionato dagli equilibri politici.
L’autorità deve lasciarsi guidare dalla legge morale: tutta la sua dignità deriva dallo svolgersi nell’àmbito dell’ordine morale. L’autorità deve riconoscere, rispettare e promuovere i valori umani e morali essenziali, i quali sono innati e scaturiscono dalla verità stessa dell’essere umano ed esprimono e tutelano la dignità della persona: valori pertanto che nessun individuo, nessuna maggioranza e nessun Stato potranno mai creare, modificare o distruggere. Essi non trovano fondamento in provvisorie e mutevoli “maggioranze” di opinione, ma devono essere semplicemente riconosciuti, rispettati e promossi come elementi di una legge morale obiettiva, legge naturale inscritta nel cuore dell’uomo. Questa è la fonte dei diritti umani che la democrazia deve garantire.
Tra i principali sono da ricordare: il diritto alla vita, il valore sacro della vita umana, dal concepimento fino al suo termine; il diritto di ogni essere umano a vedere sommamente rispettato questo suo bene primario; il diritto di ogni persona di crescere sotto il cuore della madre dopo essere stati generati; il diritto di vivere in una famiglia unita e in un ambiente morale, favorevole allo sviluppo della propria personalità; il diritto di maturare la propria intelligenza e la propria libertà, nella ricerca e nella conoscenza della verità; il diritto di partecipare al lavoro per valorizzare i beni della Terra e di ricavare da esso il sostentamento proprio e dei propri cari; il diritto di fondare liberamente una famiglia e di accogliere ed educare i figli, esercitando responsabilmente la propria sessualità; il diritto alla libertà religiosa, intesa come diritto di vivere nella verità della propria fede, in conformità alla trascendente dignità della propria persona.
Non si tratta solo diritti individuali, ma anche di diritti comunitari, alla luce del bene comune, che non è la semplice somma degli interessi particolari, ma implica la loro valutazione e composizione fatta in base a un’equilibrata gerarchia di valori e, in ultima analisi, a un’esatta comprensione della dignità e dei diritti della persona all’interno della comunità cui appartiene. Non è morale un sistema economico e sociale che non sia solidale, partecipativo e inclusivo.
Ancor più dei precedenti valori, questa moralità espansa a livello comunitario fa emergere che i principi dalla cui realizzazione discende la moralità è fortemente condizionata da valori di natura culturale e quindi dalla storia della comunità, ragion per cui la pretesa d’insegnare a un popolo terzo i principi morali sui quali questo deve costruire le regole di comportamento morale è, a dir poco, velleitario.
In passato – possiamo dire fino all’inizio del XX Secolo – era diffusamente condiviso il principio della guerra giusta e, con riferimento a questa, nei secoli, si sono compiuti anche efferati genocidi. Ora, a livello di comunità mondiale, il principio della “guerra giusta” non è più condiviso e ci si limita a riconoscere solamente la responsabilità a proteggere, cioè il diritto di ciascun Stato a proteggere la sua popolazione dal genocidio, dai crimini di guerra, dalla pulizia etnica, dai crimini contro l’umanità. Qualora i mezzi pacifici – diplomatici, umanitari e altri – siano inadeguati e le autorità nazionali manifestamente siano incapaci di proteggere la propria popolazione, la Comunità internazionale deve agire collettivamente in modo tempestivo e decisivo – attraverso il Consiglio di Sicurezza dell’O.N.U. e in conformità con la Carta delle Nazioni Unite – caso per caso e in collaborazione, in modo appropriato, con le organizzazioni regionali. L’azione della Comunità internazionale e delle sue istituzioni – supposto il rispetto dei principi che sono alla base dell’ordine internazionale – non deve mai essere interpretata come un’imposizione indesiderata e una limitazione di sovranità.
Ora, un intervento militare, volto a sostenere la creazione in uno Stato di un ordinamento politico democratico che non è mai esistito in precedenza, può essere considerato assimilabile a un intervento umanitario non violento attuato per garantire il diritto e la giustizia e non lasciato alla mera logica violenta delle armi? La logica deve essere quella della cooperazione internazionale: azioni volte a elevare le condizioni di vita della popolazione: condizioni sanitarie, economiche, sociali, culturali, ambientali, di libertà, di giustizia, d’istruzione, di conoscenze tecnologiche et similia.
Certo lo scoprire (sic) che scopo principale delle missioni Enduring Freedom, International Security Assistance Force e Resolute Support – svolte in Afghanistan rispettivamente da Stati Uniti e amici e dalla NATO, su autorizzazione del Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite – è stata la lotta al terrorismo internazionale, e che le azioni volte a costituire in modo stabile l’ordinamento democratico e a creare benessere economico e sociale attraverso la donazione abbondante di beni (merci e servizi) e l’assistenza a sostegno di un forte investimento in capitale umano sono state piuttosto degli specchietti per le allodole, fa perdere un po’ di attualità al titolo di quest’articolo. Ritengo comunque fondamentale ribadire che la democrazia è uno strumento attraverso il quale giungere al governo di una comunità, ma la moralità di quest’ultimo dipende dalla moralità dei principi cui la modalità democratica si coniuga. Per dirla con Charles Péguy: «la democrazia o genera un mondo morale o non è democrazia».
Daniele Ciravegna