C’è un’esperienza che tutte le persone condividono: quella di essere figli. Essere figli ha a che vedere con la generatività della coppia umana e con la nascita. Il “come si nasce” è risaputo dalle origini del mondo. Si tratta di un processo che si sviluppa nell’alveo di precise sequenze dettate dalla natura.
C’è, in altri termini, una legge che ci sovrasta cosicché un figlio mai può essere concepito come un “prodotto”, frutto di un disegno pre-ordinato, bensì come “dono”, un “ lieto evento” come dice il linguaggio comune o meglio un “avvento”, una presenza che irrompe unica ed irripetibile, compare alla vita e la sorprende.
Del neonato si indagano le sembianze per ravvisarvi qualche somiglianza, eppure resta indecifrabile, come venisse da un altro mondo, nel segno di una libertà già attestata, al di là della sua totale dipendenza dalla madre. Essere “figlio”, infatti, vuol dire, sì, nascere da una coppia ben definita, ma significa, nel contempo, essere “altro”, nascere nel segno di una libertà che, nella forma della impredicibilità del suo corredo genetico, è già compiutamente evocata fin dalla prima, immediata configurazione biologica del concepito.
E’ appropriato dire che ogni nascita è accompagnata da un mistero e sostenere, ad un tempo, che questa affermazione non ha nulla di misterico, di misticheggiante o di banalmente romantico, essendo, al contrario, attestata nella stessa nuda e cruda biologia della generazione. Siamo fatti per essere liberi. Lo sanno i credenti, ma lo sa, ad esempio, un filosofo, dichiaratamente ateo , come Jurgen Habermas che mette in guardia dagli eccessi di una genetica liberale che, lasciata alla sua nuda potenzialità tecnica, compromette, appunto, la libertà della persona.
C’è un limite da osservare, sapendo che il riconoscerlo è un elemento costitutivo della nostra umanità. Riconoscere che siamo segnati dalla nostra finitezza e che vi sia, dunque, un limite a noi connaturato non significa porre un confine invalicabile che tarpi le ali al nostro illimitato desiderio di conoscere, ma piuttosto, rientrare in noi stessi, assumere piena coscienza della nostra verità, passaggio essenziale per aprirci a quella dimensione della trascendenza di cui non possiamo fare a meno.
Pensiamo spesso che la scienza, portando alla luce molte catene causali che danno conto degli eventi naturali, abbia desacralizzato il mondo e generato una sorta di disincanto che ottunde quel sentimento di stupore e di meraviglia con cui gli uomini hanno sempre guardato alla vita ed al cosmo. Eppure, non è così.
La scienza non dissolve il mistero, se lo intendiamo come sopra, non banalizza il mondo, mai ne esaurisce la ricchezza insondabile. Se non ci fermiamo, in superficie, alla prima impressione, appena approfondiamo lo sguardo ci accorgiamo che è piuttosto vero il contrario. Non a caso, ad esempio, proprio la generazione di una vita nuova mostra d’essere un processo che, nella cadenza della necessità biologica che lo guida, cela l’attitudine e forse, si potrebbe dire, la finalità di garantire che ogni persona che si affaccia alla vita sia, fin dal suo primo sorgere, libera nella sua irriducibile alterità.
Per questo, la “maternità’ surrogata”, è una insana, inaccettabile offesa alla dignità della gestante ed alla libertà del figlio.
Domenico Galbiati