L’economia è governata da leggi macroeconomiche. La presenza di strumenti – definiti indicatori – favorisce la comprensione delle naturali oscillazioni del sistema, soddisfacendo il raffronto tra teoria e realtà determinando, quindi, il corretto compimento di scelte. Gli indicatori di analisi conosciuti in economia con il termine “indici” consentono agli analisti di studiare le fluttuazioni dei cicli economici in maniera preventiva (indici anticipatori o leading indicators), simultanea (indici coincidenti o coincident indicators) o postuma (indici ritardatari o lagging indicators) rispetto alla fase economica ciclica considerata. In situazioni patologiche dell’economia – più comunemente note con il termine “crisi” – vigono stagnazione e recessione oltre ad ulteriori fenomeni congiunturali con segno meno.
Dalla crisi economica derivano molteplici eventi negativi quali – solo per citarne alcuni – crollo dei consumi e degli investimenti, aumento della disoccupazione, perdita della capacità produttiva, riduzione dei prezzi e diminuzione dei salari. La crisi economica è identificata tale solo qualora, in maniera simultanea, coinvolga un gran numero di Paesi esplicitando la propria gravità complessiva in termini di intensità e durata. Parametro considerato nelle economie industrializzate sin dal XIX secolo fu la fluttuazione del PIL (Prodotto Interno Lordo) che di per sé, però, non va ad incidere sulla valutazione di crisi economica ritenendo, invece, valida la presenza di una cospicua fase di recessione con durata almeno annuale.
Infatti, l’analisi storica delle economie del passato degli ultimi cinquant’anni registra una sola grave crisi economica sviluppatasi nel 1929 – nota come “grande depressione” – con epicentro gli Stati Uniti d’America andando a coinvolgere al contempo un gran numero di Paesi industrializzati per oltre dieci anni. A seguire, effetti similari si ebbero negli anni 2008-09 nei medesimi luoghi che furono platea della grande depressione del 1929 – con l’affermarsi di un ulteriore grave momento di difficoltà economica, i cui residui congiunturali negativi parrebbero, in parte, esserci tutt’oggi. In stagioni economiche segnate dalla crisi la domanda ricorrente nelle popolazioni è “quando finirà?”.
Ancor prima di poter rispondere a questa domanda occorre comprendere cosa sono i cicli economici e come sono rappresentati in macroeconomia dimostrandone fattori e tempistiche evidenziando, altresì, le grandi opportunità che è possibile cogliere in tali periodi. Il ciclo economico è espresso graficamente in un sistema di assi cartesiani tramite curva sinusoidale che si muove fluttuando le variabili macroeconomiche nel tempo. L’andamento dei cicli muta in relazione alla periodicità (durata), convenzionalmente suddivisi in quattro categorie: breve, medio, lungo e lunghissimo. Schematicamente un’economia alternerebbe – in un trend generale di lungo periodo – fasi di espansione (o “boom”), recessione, depressione e ripresa. Con l’espansione il PIL aumenta e la disoccupazione diminuisce; a diminuzioni del PIL per almeno due trimestri consecutivi e ad un aumento della disoccupazione fa seguito la recessione; se la produzione ristagna e i livelli di disoccupazione restano elevati siamo nella fase di depressione; con la ripresa il PIL torna a crescere.
Il celebre economista russo Nikolaj Kondratiev (1892-1938) elaborò la teoria dei cicli (o delle “onde K”) affermando che l’economia globale si articola in quattro momenti ciclici aventi durata complessiva tra i cinquanta e i settant’anni: crescita, stabilità, depressione e recessione. Kondratiev ci insegna che in economia l’alternarsi fisiologico di fasi ascendenti a fasi discendenti in periodi temporali lunghi favorisce – maggiormente nella porzione in cui nella sinusoide vige il segno meno – la presenza di situazioni vantaggiose tanto dal punto di vista economico quanto sociale, culturale e politico. In tal senso, importanti progressi sono attesi al termine di gravi crisi ma la “conditio sine qua non” affinché ciò possa inevitabilmente accadere e soddisfare l’attesa risiede nell’adozione di giuste soluzioni che consentano di mutare i paradigmi sino a quel momento adottati. In generale, si nota che all’eccezionalità degli eventi fanno subito seguito misure di contenimento atte a salvaguardare e circoscrivere la difficoltà in atto. Siamo certi però che tali adozioni possano sempre essere definite utili al sistema Paese al fine della risoluzione della criticità?
Affrontare l’emersione della crisi o più in generale di un problema o di una difficoltà non significa necessariamente imporre misure di “totale chiusura”. Anzi, al contrario. Possiamo andare ad affermare con certezza che misure così drastiche consentano nell’immediato di contenere il rischio? Assolutamente no: verrebbero a generarsi problemi su problemi, si materializzerebbero concause che offuscherebbero le menti della classe politica, causando inevitabili danni a catena. Quindi, per poter stabilire che una misura di tipo cautelativo imposta dal governo centrale di uno Stato possa concretamente andare a beneficio della stessa nazione, è necessario che vengano antecedentemente valutati tutti i rischi connessi direttamente a quella misura.
Nel concreto: cosa comporterebbe nell’immediato l’adozione di una misura di totale chiusura in termini di effetti reali generati sull’economia e sulla società nel suo complesso? Una situazione di pandemia globale è certamente correlabile ad una crisi economico-finanziaria, in quanto ciascuna ha come presupposto – tra gli altri elementi comuni – il coinvolgimento generalizzato e simultaneo della maggior parte degli Stati. Nel caso di specie, il sistema mondo sta attualmente convivendo con la pandemia di Covid-19, grave situazione generalizzata che ha richiesto nell’immediato ai capi di stato di ciascun paese l’adozione di misure atte al contenimento del rischio di contagio. Una valutazione “integrata” del rischio che ha lasciato non pochi spazi di aperta discussione e valutazione tra le popolazioni del globo in merito alle metodologie e tecniche adottate da ciascun governatore.
Paura, timore, incredulità, incertezza, instabilità, imprecisione hanno animato gli animi, le menti e le parole degli uomini delle classi politiche mondiali senza alcuna distinzione di colore o direzione. Ciò ha certamente aumentato il panico nella gente che spesso purtroppo non si è vista rappresentata dallo stato che la ospita. Vedersi e sentirsi rappresentati costituisce il perno della fiducia sociale, un elemento di difficile radicalizzazione interiore, che probabilmente è anche frutto di mancate azioni concrete del passato mirate al sostegno economico e psico-sociale, sintetizzabili nella tutela. Un sostegno che ha certamente fondamenti economici, indispensabili all’avanzamento dell’economia di ciascun paese, ma che certamente si dirama sin alla psicologia dell’individuo. Infatti, una destabilizzazione economica causa instabilità psichica in quanto la prima mira materialmente e direttamente al benessere.
Certamente la pandemia ci ha colti impreparati, è risultata una vera sfida per le popolazioni mondiali, un evento che ha fatto seguito a tanti altri similari avutisi in passato ma che ha notevolmente acuito le impersonalità individuali, gli animi privi di polso, i caratteri deboli causando in loro psicosi, fobie, angosce. Gli esperti l’hanno definita “psicosi da coronavirus” uno stato d’ansia più contagioso della malattia in sé, aggravato altresì dalla massiva e contraddittoria informazione dilagante. Pare che, soprattutto in queste circostanze, “saper” e soprattutto “voler” gestire sia una virtù, una pratica più complessa del pensare di risolvere “chiudendo tutto”. Razionalmente, siamo davvero convinti che “chiudere tutto” sia come schioccare le dita? Pensiamo di “arginare artificialmente il fenomeno” in questo modo? No, stiamo semplicemente rinunciando a “voler gestire” e a dirigere il problema mediante azioni senza rischi. “Chiudere tutto, chiudere subito” non è facile però se il destinatario di questa incitazione è uno Stato intero.
Ricordiamo che famiglie, piccole imprese e negozi rappresentano la vera forza economica di ciascun territorio che si sostanzia nel commercio, rispettivamente nelle attività di acquisto e di vendita, ovvero di scambio reale di moneta. Imporre la misura di “totale chiusura” delle attività avrebbe semmai dovuto far seguito al percepimento diretto nelle tasche di famiglie, imprese e commercianti di sostegni economici in soldi veri – senza alcuna richiesta esplicita mediante compilazione moduli – pervenuti direttamente dallo stato italiano così come accaduto in altre realtà a noi limitrofe. Ad avallare ciò, ad oggi si riscontrano ancora ritardi nel percepimento del sostegno economico in moneta. Come gestire la crisi da covid-19 in termini di operatività? Quali strategie adottare?
Ogni organizzazione, dal primo annuncio della comparsa del coronavirus, ha progressivamente registrato implicazioni negative dirette in termini sociali ed economici. Ciò ha nuovamente marchiato l’economia mondiale con il termine “crisi”. In tal senso, l’imposizione pervenuta dagli stati centrali del “sell-off” del mercati globali ha mostrato la vulnerabilità della filiera economica. Il “crash macroeconomico” a cui stiamo assistendo ha causato una netta flessione del mercato, incentivata dalla progressiva chiusura dei comparti produttivi. La Global Financial Crisis GFC del 2007-08 ha fatto sì che i modelli di rischio tradizionali sino a quel momento utilizzati (trasversali CS, serie storiche TS e statistici STAT) venissero implementati.
Tra i nuovi fattori introdotti a seguito della GFC ricordiamo la leva finanziaria, la redditività e i “jump process” ovvero i cosiddetti fattori di aggiustamento per la volatilità che nel complesso tendono a regolare più rapidamente e con efficacia un rialzo della volatilità. Ricercare opportunità di investimento tra i rischi è un’attività dall’alto potenziale economico in situazioni di “crash”. Non paradossalmente esistono reali vantaggi economici nelle rotazioni di mercato, ambiti in cui investitori fondamentali qualificati possono concretamente cogliere opportunità molto redditizie.
Le crisi lasciano sempre presagire rendimenti sistematicamente sempre più elevati rispetto a situazioni di staticità economica. In tal senso, gli economisti e gli esperti di finanza internazionale ci insegnano che investire – soprattutto per casi di investimento di lungo periodo – in momenti di “correzione” economica rappresenta certamente una strategia interessante e insita di successo in termini di moneta reale percepita. È la naturale alternanza tra crescita e flessione economica della sinusoide ad animare il sistema economico che solo apparentemente appare indebolirsi ma che in realtà non è affatto emotivamente sensibile. Quindi, farsi trovare impreparati nei momenti in cui la curva è negativamente flessa – come il momento di criticità da covid-19 che stiamo vivendo – non è scelta raccomandabile.
Anche se nell’immediato non si intravede il punto di ripresa economica, posizionarsi per tempo avvantaggerà certamente l’investitore, consentendo il conseguimento dei migliori risultati. Nel caso di pandemia oggetto di analisi, l’ “effetto coronavirus” sta lanciando importanti opportunità in termini di finanza. Se da un lato i tabelloni di Piazza Affari hanno registrato il risultato peggiore dal 2008 in termini di indice di borsa di Milano (-11,2% in una sola settimana) – con conseguente risentimento sugli indici bancari Eurirs (Euro Interest Rate Swap) per i tassi fissi e Euribor (Euro Inter Bank Offered Rate) per i tassi variabili – dall’altro si registra un’opportunità concreta molto vantaggiosa per chi oggi contrae un mutuo.
In particolare, in questo momento storico, i mutui a tasso fisso hanno rilevato un calo di 20 fino a 30 punti base: ciò significa che oggi è possibile stipulare un mutuo a tasso fisso intorno allo 0,5%-0,6% tanto per i nuovi acquisti quanto per le surroghe. Inoltre, la costante discesa della curva dell’Eurirs sta determinando una parificazione tra il costo del mutuo a tasso variabile e il costo del mutuo a tasso fisso: per la prima volta nella storia dei mutui non si registrano differenze di costo tra le due tipologie. Paradosso finanziario avallato anche dalla circostanza che, in generale, il tasso fisso – incorporando intrinsecamente una protezione assicurativa da futuri rincari dei tassi – detiene un costo sempre superiore rispetto al tasso variabile.
Ciò è derivato da un disallineamento in termini quantitativi tra Eurirs e Euribor: il primo ha registrato netti cali numerici mentre il secondo risalite. In questo scenario positivo quale aspirante mutuatario dovrebbe, quindi, preferire gli Euribor/rate? Altro grande tema è il cosiddetto “quantitative easing”, la modalità più comune con cui oggi le banche centrali “stampano moneta”, immettendo liquidità nel sistema al fine di sostenerlo in periodi di crisi.
Come si posizionano a tal proposito Bce e Fed? Il bilancio della Bce è prossimo ai 5 mila miliardi di euro mentre quello della Fed ha superato i 6 mila miliardi di dollari. Cosa significa? In rapporto al Pil delle rispettive aree, l’intervento della Bce si attesta – in misura più ingente – al 43% rispetto al 28% della Fed. A queste due entità si aggiunge la Bank of England che in tempo di coronavirus ha deciso anch’essa di “monetizzare il deficit pandemico” comprando titoli per oltre un quinto del Pil. In tutti i casi appena citati, si tratta di acquisto titoli che alla loro scadenza dovrebbero essere eliminati dai bilanci delle banche centrali andando, ovvero, a diminuirne naturalmente la base monetaria. Quindi, in ogni caso, ad emergenza terminata, tutte le banche centrali dovrebbero auspicabilmente poter ritornare ai loro bilanci di origine, ovvero eliminare progressivamente i titoli acquisiti, immessi nel sistema per far fronte alla pandemia. In caso contrario si rischierebbe di rimanere con bilanci ingigantiti e con una crescente inflazione finanziaria.
Per il caso italiano, gli esperti annunciano la cifra di 170 miliardi di immissione di moneta nazionale non a debito, parallela all’euro. Si tratterebbe di “biglietti di stato italiano” che entrerebbero in attivo nel circuito economico nazionale con sembianze differenti dalla moneta in circolazione al fine di evitare confusione. Una misura destinata al circuito produttivo con ritorno nelle casse dello Stato sottoforma di tasse, a diminuzione del deficit. In generale, nonostante le grandi difficoltà in atto imposte dal coronavirus – da quella sanitaria in primis a quella economica in secundis – dobbiamo operare mentalmente prediligendo azioni che consentano concretamente di modificare le attività sin’ora messe in campo (qualora esse siano risultate inefficaci) e trarre tutti i benefici che il momento di criticità inevitabilmente, altresì, sta già donando alla comunità mondiale, “volendo gestire” il fenomeno e non optando per “chiudere tutto, chiudere subito”.
Antonio Eduardo Favale e Karen Ricchiuti
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