Nonostante l’avanzata della destra estrema in Germania e Francia, nel complesso il voto europeo non ha cambiato gli equilibri tra le varie famiglie politiche. Popolari, socialisti e liberaldemocratici continuano ad essere il perno di qualunque nuova maggioranza al Parlamento europeo. E questo indipendentemente dall’esito delle prossime legislative francesi di luglio. In ogni caso a Bruxelles vi sarà bisogno di una maggioranza molto ampia, e di una intesa altrettanto larga fra gli Stati membri per fare quelle riforme senza le quali è a rischio l’avvenire dell’Unione Europea.

Ciò che serve in questa fase storica è uno spirito costituente e allo stesso tempo pragmatico, per avviare ora, e non più rimandare, il percorso verso un’economia e un bilancio comune che permetta di gestire a livello comunitario quelle competenze che i singoli Stati faticano a gestire da soli, in un mondo caratterizzato dall’emergere di mercati e di sistemi di alleanze di dimensioni tali che solo un’Europa capace di presentarsi in modo unitario potrà essere alla pari con gli altri protagonisti globali.

Un altro dato che si impone all’attenzione, è l’alta percentuale di astensione avutasi per queste elezioni europee, che nell’insieme è stata di poco inferiore al 50%, e in Italia ha superato il 50%. Quando, circa la metà del corpo elettorale rinuncia a esercitare il proprio diritto di voto, emerge un grande problema di rappresentanza. La politica non si può fermare ai rappresentati e ai garantiti ma deve trovare il modo di parlare a tutti, anche a coloro che per motivi economici, sociali o pregiudizialmente hanno smesso di nutrire fiducia in essa. La nuova questione sociale, generata dalle trasformazioni tecnologiche, dalla speculazione sulla globalizzazione, dall’instabilità e dai conflitti internazionali va messa al centro delle preoccupazioni delle forze politiche, prima che possa degenerare in questione democratica.

Infine, il voto dello scorso 8-9 giugno è stato anche un test per la politica italiana. I pur buoni risultati conseguiti dai due partiti maggiori, Fratelli d’Italia e il Partito Democratico, che insieme superano di poco il 50% dei voti validi (e sono minoranza rispetto al corpo elettorale) dicono pure che la polarizzazione del voto non è un destino. Pur essendo stato il voto col sistema elettorale proporzionale, ha espresso delle indicazioni sulle coalizioni. In termini di voti centrodestra e centrosinistra all’incirca si equivalgono. La differenza la fa la capacità del centrodestra di costituire un’alleanza politica fra tutte le forze alternative alla sinistra, cosa che, sinora, non è riuscita a fare il centrosinistra.

Il voto europeo ha anche fornito alcune indicazioni rispetto alle varie opzioni di impegno politico della galassia del cattolicesimo democratico, sociale e popolare. Chi sta nel PD dovrà fronteggiare il fatto che il buon risultato alle Europee, ottenuto anche con l’apporto dei candidati dell’area riformista, ha rafforzato la segretaria Schlein e la sua linea radicale, e trovare un modo per incidere sulle scelte di quel partito, sorto con l’ambizione di esprimere una sintesi delle culture riformatrici, ma divenuto con l’attuale segreteria a tutti gli effetti il partito della sinistra, erede del solo PCI.

Chi guarda al centro, deve registrare l’ennesimo insuccesso dei partitini che da anni si contendono quell’area politica. Questa volta a schiantarsi sul muro del mancato quorum delle Europee sono stati i partiti di Renzi e Calenda. Ciononostante appare scontato che per le prossime politiche vi sarà comunque una gamba di centro nella coalizione di centrosinistra. Si tratterà di capire quale grado di autonomia potrà vantare rispetto al PD, di quali numeri potrà disporre per fare da contrappeso al rischio di derive ideologiche di un eventuale governo Schlein-Bonelli.

Infine, sempre fra coloro che guardano al centro, il fatto che Forza Italia, pur ancora col nome, divisivo, del fondatore nel simbolo, abbia scavalcato la Lega, non può passare inosservato. Insieme alla guida ispirata al buonsenso e alla moderazione dei toni, di Antonio Tajani (che sta dando prova di grande equilibrio anche come ministro degli Esteri) e insieme al riferimento alla famiglia politica europea dei Popolari.

È presto per parlare di una possibile evoluzione verso un centro autonomo di tutte le forze che guardano al PPE, forze non socialiste, non di destra o nazionaliste o conservatrici. Ma è un processo sul quale credo valga la pena di discutere, e che potrebbe incidere nel futuro in maniera significativa sugli equilibri della politica italiana.

Giuseppe Davicino

Pubblicato su www.associazionepopolari.it

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