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Europa e Ucraina: “fatica” o momento della responsabilità? – di Maurizio Cotta

A più riprese sui mezzi internazionali di comunicazione e anche in qualche malizioso scherzo telefonico (come quello che ha coinvolto il mostro primo ministro) è trapelata una certa stanchezza della dirigenza dei paesi, impegnati a sostegno dell’Ucraina nella sua coraggiosa difesa contro l’aggressione della Russia di Putin, nei confronti di una guerra che si sta rivelando più lunga e difficile di quanto sembrava dopo alcune importanti vittorie ucraine del 2022. In effetti le aspettative fin troppo ottimistiche della scorsa primavera sulla possibilità che una controffensiva ucraina potesse sfondare in profondità il fronte russo a Sud nelle regioni di Zaporizzja e Cherson si sono rivelate infondate.

Le elaborate linee difensive russe con estesissimi campi minati, trincee e difese anticarro predisposte durante l’inverno e la primavera e la tradizionale maggiore attitudine delle forze armate russe a giocare in difesa piuttosto che in attacco hanno fatto sì che l’esercito ucraino abbia potuto solo conquistare qualche testa di ponte. E’ vero che anche i tentativi russi di contrattaccare a Est nel Donetsk con impiego massiccio di mezzi corazzati e schiere di fanteria mandate allo sbaraglio come carne di cannone per ottenere una vittoria da dedicare alla prossima campagna elettorale di Putin sono al momento falliti con perdite umane ingenti. Ma in sostanza, come ha anche ammesso in una intervista il capo delle forze armate ucraine, c’è oggi una situazione che si avvicina allo stallo. Questo vuol dire che, in assenza di uno sbocco negoziale, si apre la prospettiva di una continuazione della guerra.

Le prospettive negoziali sono però al momento praticamente inesistenti. Putin, che si prepara alla sua quarta elezione presidenziale grazie alla riforma costituzionale del 2020 che, sotto una ingannevole facciata democratica, rivela fin troppo chiaramente il processo sempre più avanzato di trasformazione della Russia in una dittatura personale con tutti gli oppositori autentici in carcere, sarebbe forse disposto ad un “armistizio” che gli consenta di conservare tutto quello che ha conquistato, compresa la principale centrale nucleare dell’Ucraina e le regioni che gli consentono di escludere gli Ucraini dall’importante accesso al Mar Nero trasformando il mar d’Azov in acque interne della Russia. E magari potrebbe approfittarne per preparare una ripresa della azione bellica quando la sua macchina militare si sarà rafforzata grazie alla trasformazione dell’economia russa in una economia di guerra. Anche se non il trionfo completo (quello era di prendere Kiev e il potere sull’intero paese vicino), una soluzione del genere rappresenterebbe una vittoria significativa per Putin e una pesante ipoteca sul futuro dell’Ucraina. Non c’è da stupirsi che la dirigenza ucraina e la stragrande maggioranza del paese respingano decisamente questa ipotesi. Un armistizio e la pace sarebbero forse accettabili per l’Ucraina solo nel caso di una ampia restituzione dei territori occupati dalla Russia.

Se questo è il quadro quello che resta al momento è una continuazione della guerra. L’inverno rallenterà le operazioni sul fronte ma continueranno da parte ucraina (e anche per opera di partigiani infiltrati profondamente nella stessa federazione russa) azioni mirate sulla logistica russa e da parte russa attacchi anche alle infrastrutture civili ucraine.

Intanto negli Stati Uniti, sino ad ora in prima fila nel sostegno al paese aggredito, va in scena la sempre più drammatica corsa vero le elezioni presidenziali sulle quali aleggia la realistica possibilità di un ritorno di Trump alla casa Bianca. Il sostegno americano all’Ucraina sarà dunque incerto e già adesso nel Congresso si intreccia ad altre questioni del tutto irrelate ma rilevanti per la campagna elettorale.

L’Unione Europea si trova quindi proiettata, come non mai per quel che riguarda la politica estera e di sicurezza, in una posizione centrale. La risposta dell’Unione Europea al dilemma tra “stanchezza della guerra” e chiara assunzione di responsabilità sarà drammaticamente vitale innanzitutto per l’Ucraina che senza un sostegno robusto rischia gravi arretramenti sul fronte. Ma sarà vitale, in una misura di cui troppo poco ci si rende conto, per l’Unione Europea stessa. Un’Europa che per war fatigue sostenesse solo timidamente la difesa Ucraina e un Putin vincente (anche se solo parzialmente) sancirebbero un cambiamento molto grave dell’assetto internazionale del nostro continente con un paese, la Russia, a cui viene concesso di utilizzare la forza militare per minacciare l’integrità di un paese sovrano e alterare i confini tra stati e dall’altra il più grosso agglomerato economico, la UE, che si riconosce incapace di impedire questa sopraffazione. Addio alla nuova Unione geopolitica di cui parlava con orgoglio (e un certo ottimismo) la Presidente della Commissione Europea in un recente discorso dell’Unione. Addio alla capacità di esercitare un ruolo di peso in un mondo in cui l’uso della forza militare non è stato cancellato, addio anche all’idea di un’Europa non tributaria dagli Stati Uniti in materia di sicurezza.

Se invece l’Unione Europea si rende conto della portata della posta in gioco per il proprio futuro (oltre che per quello dell’Ucraina) è il momento di dire con chiarezza (anche alla propria opinione pubblica) che un forte sostegno all’Ucraina che le dia la capacità di far arretrare l’aggressione russa non è solo l’aiuto ad un paese amico ma la premessa per ricostruire un assetto di pace e di giustizia nel continente europeo all’interno del quale potranno prosperare paesi che mettono a proprio fondamento democrazia e rispetto dei diritti dell’uomo e i regimi autoritari non saranno in grado di imporre la loro logica. Una scelta di portata storica tocca oggi ai leader politici europei.

Maurizio Cotta

 

 

 

 

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