Nella campagna elettorale, ormai agli sgoccioli, per il Parlamento europeo, la più sguaiata di tutte quelle finora svolte e la più drammatica per le condizioni geopolitiche in cui accade, è stato difficile per gli elettori capire quali fossero le posizioni dei partiti rispetto alla questione fondamentale: quale destino per quell’entità storico-culturale e spirituale che è l’Europa? Quale assetto politico-istituzionale necessario per l’Unione europea? I leader di partito – in particolare dei partiti maggiori – si sono cimentati in squallide baruffe pseudo-identitarie.

L’effetto prevedibile? Il disinteresse, la fuga, l’astensione degli elettori. Tanto meglio per i partiti. Se vanno al voto i fidelizzati e gli incerti stanno lontani dalle urne, allora la gara è tra tavole di valori. E le culture politiche e i programmi in cui i valori si incarnano? C’è il rischio che siano troppo “unitivi”.

Tuttavia, in questa nebbia di propagande, confuse e reticenti, occorre riconoscere a due partiti minori – Lega Salvini e Stati Uniti d’Europa (+Europa, Italia viva, Radicali, Psi, Volt, Libdem) – il merito di aver proposto con chiarezza il bivio che la UE e i suoi  elettori devono affrontare: “Più Europa o Meno Europa?”.

È divenuta egemone, in questi anni, una narrativa, secondo la quale la UE è diventata un Moloch burocratico oppressivo per le sovranità nazionali, uno strumento di prepotenza dei Paesi nordici e – antica versione di sinistra – catena di trasmissione del dominio capitalistico americano.

La UE minaccia i nostri interessi nazionali. Perciò bisogna tornare indietro sulla strada dell’integrazione europea. E per essere coerenti fino in fondo, bisognerebbe uscire dall’Euro. La “sovranità europea” è una bestemmia e se il Presidente Mattarella la pronuncia, Salvini chiede che si dimetta. Questa è l’ultima “salvinaggine” (NdR. il neutrale correttore automatico di Google propone di sostituire il neologismo con “asinaggine”!), ignorante dei Trattati e dell’art. 11 della Costituzione.

Tuttavia, è vero che l’architettura istituzionale europea è sbilenca, che la separazione dei poteri e il loro check and balance sono incerti. Come ha osservato con una battuta G. Amato: “Montesquieu non si è mai visto a Bruxelles”.

Il fatto è che le istituzioni europee sono il risultato di un lungo bricolage istituzionale, avviato con i Trattati di Roma del 1957, che ha sovrapposto gli organismi, tentando di conciliare le pretese delle sovranità nazionali con il livello sovranazionale. Questa struttura istituzionale barocca non è la causa, ma l’effetto di un assetto politico intergovernativo e confederale, regolato dai Trattati, senza una Costituzione europea, e fondato sul principio di unanimità per le decisioni strategiche. Al punto che l’abolizione del principio di unanimità deve essere decisa all’unanimità. La risultante è la paralisi.

A questo punto, la via più semplice appare essere la rinazionalizzazione delle strutture istituzionali e le politiche. Se di fronte alle sfide del momento quali la guerra, l’immigrazione, la concorrenza americana e cinese, il clima, l’Intelligenza Artificiale, il potere “sovrannazionale” europeo è muto e impotente, tanto vale che si torni ai rapporti bilaterali.

C’è anche una seconda narrativa liberale, a-sovranista. Poiché la storia europea è una storia di frammentazione, almeno dalla caduta dell’Impero romano, e di sangue, dalle guerre di religione del ‘500, alla Guerra dei Trent’anni fino alle ultime due guerre mondiali, non esiste un “popolo europeo”. Perciò è impossibile costruire un Stato-nazione europeo. L’unico assetto possibile è quello intergovernativo e confederale. È già molto. Teniamocelo stretto e procediamo prudentemente sulla “Via dei Trattati”, senza europeismi escatologici, applicando il principio di sussidiarietà ogni volta possibile.

Chi propone “Più Europa” muove dal contesto geopolitico attuale. Il ciclo storico della pace in Europa, che datava dal maggio del 1945, è finito bruscamente il 24 febbraio 2022 con l’aggressione russa dell’Ucraina.

E questa guerra ha facilitato il pogrom di Hamas e l’accensione di un focolaio di guerra in Medioriente. La storia europea ha fatto un salto drammatico. Benché le minacce nucleari di Putin servano a spaventare solo i pusilli, a quanto pare con successo, è evidente che stiamo camminando sul crinale sottile e tagliente pace/guerra.

Le singole sovranità nazionali europee sono deboli rispetto alle sfide, ma la sovranità europea non c’è: né sul piano geopolitico e della sicurezza, né su quello economico. Sul piano culturale, il suo capitale cristiano-liberale viene eroso dalla cancel culture, dal wokismo e dal politically correct.

Pertanto i sostenitori di “Più Europa”, disseminati nella società civile e nei vari partiti, pensano che sia necessario un salto quantico dalla UE intergovernativa e confederale alla UE federale, alla quale i singoli Stati sovrani conferiscano poteri sovrani in materia di politica estera, di difesa, di un bilancio – oggi al di sotto del 2% del Pil europeo – di fisco, di sistema bancario, di mercato dei capitali, di concorrenza… Come arrivarci? La via più realistica è quella di un’Europa a due velocità, con un nucleo di Paesi – Group of friends?  Triangolo di Weimar? Cooperazione rafforzata? –  che incominci a progettare e a praticare un assetto federale. Gli altri o ci arriveranno o cadranno, in nome della difesa della sovranità nazionale, nell’orbita di “potenze straniere”.

Queste discussioni non hanno appassionato gli elettori, benché riguardino il loro personale destino, perché la volgare campagna elettorale in corso non ha fatto emergere la posta in gioco del presente: la difesa delle libertà europee.

L’attuale configurazione politico-istituzionale della U.E. non è in grado di garantire la difesa delle libertà – sbocciate dall’humus classico, cristiano, illuministico, liberale e socialista – contro l’imperialismo russo e cinese e contro il fondamentalismo islamico, che punta all’egemonia nel Medioriente e in tutta l’Africa, a Nord e a Sud del Sahara.

Né l’attuale UE è in grado di “domare la potenza che sgorga dalla scienza e dalla tecnica”, come auspicava Romano Guardini in “Europa. Compito e destino”, richiamando al substrato cristiano dell’Europa.

Né di imbrigliare le potenze della  globalizzazione. Essa sta erodendo e fratturando gli Stati-nazione e le loro basi socio-culturali: una parte di società civile è sempre più attratta dal magnete globale, costituito da idee, consumi, stili di vita, social-media, mentre un’altra parte si è serrata a difesa di ciò che sono o si pretende che siano le tradizioni nazionali. La Nazione e le identità individuali e collettive, esaltate da Johann Gottfried Herder nel ‘700, tornano a separarsi, dopo 500 anni. Serve pertanto uno nuovo schema politico-istituzionale.

Giovanni Cominelli

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