L’assegno unico per famiglie con figli a carico, che da marzo ha sostituito detrazioni e assegni, aveva gli obiettivi della semplificazione e dell’incentivo alla natalità, ma secondo i rappresentanti dei Consulenti del Lavoro, così come emerso nel corso dell’audizione sul DEF dell’11 aprile 2022, sta generando “confusione, false aspettative e delusioni” e ne traggono miglioramento solo i nuclei familiari con ISEE particolarmente basso e le famiglie con redditi molto alti, precedentemente escluse dagli assegni: ancora una volta a rimetterci è il ceto medio dei lavoratori, ed è facile capire come il contrasto alla denatalità rimanga spesso un vuoto ritornello.
Oggi, con l’inflazione in crescita anche sui generi alimentari e il costo dell’energia lievitato, si torna alla politica dei bonus una tantum, con l’istituzione del bonus di 200 euro per chi percepisce un reddito inferiore a 35mila euro lordi, cioè circa duemila euro netti al mese. Con un euro in meno si è dentro, con un euro in più si è fuori. Non importa se si vive soli, in coppia, o si hanno bambini. Non c’è da stupirsi se la Germania nel 2021 riesce a invertire il trend con un aumento delle nascite, grazie alle recenti politiche a favore delle famiglie, mentre il 2021 certifica l’ennesimo traguardo storico del record di minore natalità mai registrato nella storia d’Italia. Allo stesso modo, non c’è da stupirsi se la politica dei bonus una tantum viene accolta con freddezza sia dai sindacati, sia dagli industriali che, pur ammettendo essere meglio di niente, sottolineano la necessità di interventi per creare occupazione e ridurre il cuneo fiscale.
È proprio il cuneo fiscale, cioè le tasse che generano la differenza tra stipendio lordo e quello netto, il perno su cui occorrere lavorare, sia per rendere il nostro Paese attrattivo per gli investitori, sia per permettere ai lavoratori del ceto medio di poter programmare la propria vita e quella della propria famiglia.
Alcuni comuni dall’inizio della pandemia, a fronte di maggiori costi, hanno aumentato l’addizionale comunale all’IRPEF per le fasce medie, senza ottenere aumenti significativi delle entrate tributarie, a causa di un calo della base imponibile dei cittadini: questo dimostra che questa non è la strada da percorrere, né per sostenere le finanze pubbliche né per correttezza nei confronti dei lavoratori del ceto medio. La revisione delle addizionali comunali, necessaria dopo l’entrata in vigore dei nuovi scaglioni, non può ora diventare l’occasione per inserire altre correzioni al rialzo: il problema non sono tanto gli aumenti in sé, che spesso sono contenuti, ma la visione miope che ne emergerebbe.
In una prospettiva globale, il circolo vizioso “meno giovani occupati contribuenti e più precariato, percentuali di tassazione più alte, famiglie più affaticate, quindi meno figli” dev’essere evitato da una politica lungimirante: in questo senso il Governo ha dato un segnale concreto positivo, investendo sette miliardi nella Legge di bilancio per revisionare le aliquote IRPEF nazionali alleggerendo l’aliquota media per i contribuenti con reddito fino a 50 mila euro, con l’obiettivo di rendere la tassazione uniformemente crescente in base al reddito e così, quindi, eliminare gli squilibri intorno ai 40-50 mila euro.
Guardando al futuro: mentre in Italia la fiscalità si basa principalmente sulle detrazioni o sugli assegni, per aiutare chi rientra nei parametri, la vera sfida sarà abbassare trasversalmente alle famiglie l’imponibile grazie alle deduzioni, come già avviene in Francia, non a caso considerata “il paradiso della famiglia”.
Carlo Giovannini