Chissà se Giorgia Meloni ci creda davvero a quello che ha detto ieri. Ma di sicuro, dopo la stentorea dichiarazione “stiamo facendo la Storia”, dobbiamo metterci alla ricerca di una coerenza, ma anche di una logica, che facciano da base a così tanto impegnativo intendimento.
Da un punto di vista manzoniano dei Promessi sposi, niente da dire, ognuno di noi fa la Storia. Così come per lei e per tutti vale quel “la Storia siamo noi” di De Gregori, in questi giorni ascoltato come accompagnamento musicale della promozione di una grande società di fornitura elettrica. E chi sa quanti dei clienti di quel grande fornitore, in realtà, visto il livello medio dei trattamenti riservati ai consumatori senza tutela nei confronti dei grandi erogatori di servizi, sarebbero più portati a parlare delle tante “storie” negative che vivono, invece che di una sola.
Dipende, dunque, dai punti di vista. E va comunque considerato che Giorgia Meloni parlava in una riunione a porte chiuse dei suoi e, quindi, va da sé che la realtà provi a raccontarla in un certo modo.
Siamo abituati, oramai, a politici e a partiti del tutto autoreferenziale perché il sistema elettorale li costringe nel giro stretto delle loro relazioni, delle lotte di potere intestine e negli equilibrismi tra i vari capibastone. La società civile non conta se non al momento della pubblicazione di sondaggi che, davvero, non si sa mai come siano fatti. Resta, comunque, una Storia consumata all’interno di una minoranza del Paese, eventualmente interessata alle loro vicende politiche.
All’astensionismo galoppante dell’ultimo trentennio, e Giancarlo Infante, proprio ieri (CLICCA QUI) ci ha spiegato a cosa c’abbia portato l’attuale sistema politico, dobbiamo aggiungere la travolgente ascesa, e la successiva rovinosa caduta, di altri convinti di “fare la Storia”. Il Bossi degli anni novanta, il Berlusconi che doveva modernizzare il Paese, Matteo Renzi. E quindi i 5 Stelle di Beppe Grillo intenzionati e rivoltare l’Italia “come un pedalino”. Poi, è giunta l’inaudita vittoria dei Fratelli d’Italia. Loro, la Storia, non solo la vogliono fare, ma anche riscriverla. Anche se questa pretesa, per cui non hanno né i pensatori necessari a farlo né riescono a superare il livore accumulato per i decenni in cui, giustamente, stavano al di fuori del cosiddetto “arco costituzionale”, è servita solo a confermare la diffidenza nei loro confronti da parte di oltre il 70% di chi non l’ha votati, se poi consideriamo gli astenuti parliamo almeno dell’85%, e quella delle più importanti cancellerie ed istituzioni europee. Al punto che a Bruxelles si devono inventare vere e proprie alchimie per dare a Raffaele Fitto una posizione importante. Ma da italiano! Non come rappresentante del governo più di destra (e vogliamo anche dire antieuropeo?) che l’Italia abbia mai avuto dai tempi del cav Benito Mussolini.
Il “fare la Storia”, almeno ce lo dice la storia, quella vera, accumulata dalle società democratiche moderne, ha bisogno di una lunga visione progettuale condivisa dall’interno Paese, rispettosa del quadro comune di garanzie democratiche e Costituzionali, di un impegno per superare le disuguaglianze. Soprattutto, ha bisogno di “qualità” di pensiero politico, della gestione della cosa pubblica e delle persone chiamate a farla… questa benedetta Storia. E a questo punto, guardando alle tante vicende politiche e personali accadute sin dai primi passi di questo Governo, e proprio in questi giorni roventi di polemiche che favoriscono i pettegolezzi, sappiamo che, in realtà, siamo fermi ad una modesta cronaca … di ogni genere. Con presunte diffusione di notizie riservate, contestate evasioni fiscali e bancarotta, sparatorie di fine anno, assunzioni di parenti, sodali e amici, vicende di infedeltà coniugali che si mischiano ad impegni pubblici, tutto al più si riempiono le pagine di cronaca nera e dei giornali scandalistici, non certo gli scaffali degli Archivi di Stato.
Alessandro Di Severo