La reazione scomposta di Giorgia Meloni all’esito dei ballottaggi e, contestualmente, all’accordo tra popolari, socialisti e liberali che, di fatto, almeno fin qui, la esclude dalla maggioranza politica destinata a governare l’Europa nel prossimo quinquennio, mostra i limiti di una leadership che è tanto tronfia quando ha il vento in poppa, quanto nervosa non appena il mare si increspa.

Al dunque i nodi vengono al pettine e le ambiguità non pagano. Difficile tenere il piede in due scarpe. Da un parte recitare con dovizia la parte dell’ euro-atlantista convertita dagli antichi furori, dall’ altra coltivare l’ alleanza, sul piano nazionale e non solo, con il peggior sovranismo. Il quale – e qui siamo al colmo della contraddizione – per quante acrobazie dialettiche adotti la Presidente del Consiglio, copre e giustifica la deriva secessionista che, non a caso, è affidata alle premure del Ministro Calderoli, che rappresenta l’effettiva continuità – e, riconosciamolo, la coerenza originaria, sprezzante nei confronti della nazione “Italia” – del “celodurismo” leghista della prima ora.

Peraltro, Giorgia Meloni conosce soltanto lo scontro. Concepisce il governo solo nella forma del comando e la logica del “premierato” è, anzitutto, la proiezione di un abito mentale che privilegia, rispetto ad un principio di partecipazione democratica effettiva e diffusa, un criterio di autorità.

Alla destra non basta “governare”. E’ alla ricerca dell’ egemonia e solo nel perimetro di un pieno controllo del quadro generale, a cominciare dalla comunicazione, si sente rassicurata. Del resto, deve cautelarsi sia nei confronti dei “gaffeurs” e dei dilettanti che abbondano tra le sue fila, anche a rilevanti livelli di responsabilità politica ed istituzionale, sia sul fronte della militanza estrema e di chiara impronta fascista, cui pare ispirarsi la “nouvelle vague” allevata nei suoi vivai.

“Nostalgici” erano i vecchi esponenti del MSI che cercavano di mantenere in vita, per quanto storicamente improponibili, le parole d’ ordine, le illusioni, gli ideali traditi che avevano alimentato la passione dei loro vent’anni.
Ma i giovani esaltati che sono inquadrati – a quanto sembrano documentare recenti inchieste giornalistiche – nelle formazioni giovanili, piu’ o meno ufficiali, di Fratelli d’ Italia, dato che evidentemente non vivono di ricordi ed hanno non un crepuscolo, ma davanti a se’ una vita intera, cosa preparano per l’Italia di domani?

Intanto, l’astensionismo dilaga e la proposta che la destra avanza per contenerne l’impatto preoccupante, è, a prima vista, sorprendente, ma, in effetti, a volerci riflettere un attimo, del tutto in linea con la sua cultura. Anziché, preoccuparsi di riportare gli italiani ai seggi, meglio chiuderli, almeno provarci, per quel tanto che forse si può fin d’ora osare, cominciando dal taglio dei ballottaggi. E’ presto, ad ogni modo, per ritenere che siamo giunti ad un cambio d’umore nel sentimento generale del Paese.

La Meloni ha incontestabilmente vinto le elezioni europee, pur lasciando per strada centinaia di migliaia di elettori che l’ avevano impalmata nel settembre ‘22, ma ha perso quell’aura di invulnerabilità che rappresenta il collante di cui non può fare a meno il “culto della personalità”. Il soggetto che viene investito di tale ruolo – e la stessa stucchevole retorica meloniana dell’ under-dog è funzionale a questo disegno – o è intangibile o non è. Non sopporta scalfitture alla propria immagine perché sa che facilmente, una volta rotto l’ incantesimi, possono trasformarsi in ferite e poi crepe profonde. Non è detto cha la Schlein abbia vinto, tanto meno che possa farlo in vista della prossima scadenza politica, ma intanto gli italiani hanno capito che Giorgia Meloni può perdere ed il governo del Paese è seriamente contendibile.

Domenico Galbiati

 

About Author