La legge sul “fine vita”, dopo Montecitorio, approda in Senato. Ed è bene che non si tratti di un passaggio formale, diretto a chiudere in fretta la partita. Il “bicameralismo” ha pure le sue virtù.
Vi sono punti che restano controversi e meritano, perlomeno, di essere riconsiderati, anche in riferimento alla formulazione originaria dell’articolato. Del resto, non è lecito attendere che produca i suoi effetti quell’ampia, corale, ecumenica attenzione al mondo cattolico, all’ importanza di rivitalizzarne la cultura anche sul piano dell’indirizzo politico di cui si è avuto prova lo scorso mercoledì all’ Angelicum? Non vi è convenuto il più ampio schieramento di forze, dalla destra estrema alla sinistra che si protende oltre lo stesso PD? Non era, francamente, lecito attendersi, nel giro di un paio di giorni, una qualche così’ immediata disponibilità ad una più alta mediazione tra le posizioni in campo.
Ora si apre uno spazio politico e temporale che può permettere di capire se e come, transitando dal campo un po’ nebuloso del “pre-politico” alla più netta definizione legislativa di una tematica talmente delicata, quale, appunto, il “fine vita”, non si produca almeno quella mobilitazione trasversale dei cattolici in Parlamento che, più volte auspicata, mai si è vista. O addirittura meglio – come, va riconosciuto, pare sia stata la giusta e condivisibile ambizione dei promotori dell’ iniziativa – si manifesti la volontà di rileggere criticamente l’intera materia. Ma di questo si vedrà.
Intanto – ed è molto istruttivo – vale la pena osservare come si sono mossi, in aula a Montecitorio, i due schieramenti al momento del voto della proposta di legge che ha avuto nell’onorevole Bazoli il suo relatore. Ne ha dato debitamente conto l’Avvenire con la cruda voce dei numeri.
Ha tenuto l’accoppiata Pd-M5S, favorevole alla legge. Non altrettanto lo schieramento di centrodestra, che alla legge si è detto contrario. A parte le defezioni ed il passaggio allo schieramento avverso ( 7 deputati di Forza Italia e 5 di Coraggio Italia) sono state le assenze in aula ad essere significative. Ben 14 deputati su 36 per Fratelli d’Italia; 38 su 80 per Forza Italia; 59 su 133 Per la Lega.
In poche parole, gli assenti e le defezioni – 123 deputati- sono stati più dei 117 che hanno votato contro l’approvazione del provvedimento. Se questa vistosa emorragia non ci fosse stata, invece che 253 a 117 il voto finale sarebbe stato di 253 a 240. Il centro destra “s’è dato”, direbbero a Roma. In ogni caso, non è pervenuto.
Di cosa si tratta? Di “intelligenza con il nemico”? Di “renitenza alla leva”? Di una certa sciatteria, di disattenzione, di negligenza e superficialità?