La recente pubblicazione del “Piccolo Lessico del Fine-Vita” da parte della Pontificia Accademia per la vita ha suscitato l’attenzione del nostro Domenico Galbiati (CLICCA QUI) ma anche – fra altre – quella del quotidiano cattolico Avvenire con un articolo di Giuseppe Anzani ( CLICCA QUI). Ambedue gli autori hanno dichiarato di aspettarsi, anche all’interno del mondo cattolico, reazioni contrastanti. Fra queste, ho particolarmente apprezzato quella di Francesco Farri ( CLICCA QUI), giurista del Centro Studi Livatino che – in punta di diritto – ha espresso rilievi rispettosi ma nella sostanza durissimi nei confronti di diverse espressioni del documento.
Altre dichiarazioni hanno rilanciato l’importanza delle cure palliative la cui offerta nel nostro Paese è largamente al di sotto delle potenziali necessità. Controllare il dolore fisico, avvolgere i pazienti di compagnia, conforto, gesti di carità e accompagnamento (nei casi migliori, anche di preghiera insieme) aiuta molto, moltissimo: la morte può allora acquisire un senso e un valore oblativo pur nella sua drammaticità.
Dobbiamo essere tuttavia consapevoli che, a causa dell’apostasia dilagante in atto non solo in Europa, un numero sempre più elevato di persone arriverà del tutto impreparato agli eventi malattia, disabilità, dipendenza, morte. Soprattutto quando la consumazione di una simile parabola avvenga mediante una fase rapida seguita da una che potrebbe essere di molti, moltissimi anni. La prima può cambiare improvvisamente e totalmente lo stile di vita, le aspettative, l’autonomia nelle attività ordinarie e avanzate della vita quotidiana, le performance cognitive magari fino ad allora particolarmente brillanti. La seconda, invece, potrebbe prospettarsi come una lenta, inesorabile, spesso dolorosa ed umiliante attesa della morte, sospirata liberazione dalla sofferenza psico-fisica.
Il credente cattolico con fede matura possiede gli strumenti per affrontare “sorella morte” con serenità, affidato alla misericordia della Trinità, alla Madre del Cielo e ai fratelli della Chiesa. Egli, tuttavia, non è esentato dall’ultima e più feroce ἀγωνία, l’ultima battaglia e ultima carta che il Demonio giocherà per strappargli la fede in Dio e farlo morire bestemmiando la propria storia. “Nessuno va in Paradiso in carrozza” ci ha spesso ricordato Papa Francesco.
Quanti non possiedono questo patrimonio spirituale fatto di accoglienza della Grazia e di formazione permanente, si trovano in grande difficoltà. Magari non provano dolori insopportabili, magari hanno parenti ed amici che vanno spesso a visitarli, magari hanno ottimi caregiver e personale medico-infermieristico di prim’ordine … ma provano rabbia, disperazione, odio verso la vita che ha improvvisamente voltato loro le spalle, sentimenti di invidia, impotenza, frustrazione … Davanti a loro la tenebra di un evento che, per quanto irriso e banalizzato a parole (forse da gran tempo e con ostentate, erudite motivazioni), ora si prospetta nella sua reale drammaticità e non può più essere sottovalutato. In alcuni di loro scatta la voglia di dare almeno “uno schiaffo” a ciò che non possono più controllare: “se non posso evitare la morte, almeno deciderò io il quando”.
Nessuna di queste persone ha voglia di cure palliative: spesso non hanno dolore fisico né solitudine; soltanto non sopportano l’idea di una vita che sia priva di ciò che per essi la rende degna di essere vissuta. Nella più assoluta soggettività di valutazione, nella più assoluta auto-determinazione.
Impresa davvero ardua (pur non sempre impossibile) fare breccia in un sistema di valori vieppiù approvati, diffusi, applauditi, considerati come gli unici accettabili usando valori e credenze che simili persone hanno tenacemente e consapevolmente combattuto per una vita. A mio avviso, è proprio questa la platea di richiedenti il suicidio assistito che si espanderà a dismisura. Finora solo “casi limite” sfruttati ad arte dai noti personaggi ed usati come grimaldello per distorcere l’opinione pubblica e assuefarla alla “normalità” del suicidio; ma, mese dopo mese (con la stessa progressione dei femminicidi) sempre più persone dipendenti dagli idoli attuali (ricchezza, successo, viaggi, potere, sesso libero, libertà assoluta senza attenzione e rispetto per gli altri, falsi diritti etc.) chiederanno allo Stato di “spegnere la loro vita” quando quei convincimenti farlocchi presenteranno il conto tutti insieme.
A conferma di quanto sopra, nelle proposte di legge che attendono di essere analizzate prossimamente serpeggia la proposta di far saltare il paletto della fruizione delle cure palliative per la non punibilità dell’aiuto al suicidio: molti non vogliono sottoporvisi perché le ritengono non confacenti ai loro bisogni. Essi bramano la vita “alla Vasco Rossi” e non vogliono pillole, coccole e rosari che ne prolunghino la lontananza.
Non voglio essere frainteso: i posti negli Hospice, i centri di cure palliative vanno aumentati e la loro localizzazione deve essere ottimizzata consentendo alle persone bisognose una fruizione adeguata. Ma, in casi sempre più frequenti, essi potrebbero essere disertati se la “cultura della morte” non sarà combattuta e vinta.
Roberto Leonardi