Si assumono una grave responsabilità politica e morale le forze parlamentari del centro-sinistra che non cessano, si potrebbe dire, di soffiare sul fuoco per mantenere viva e, via via, spingere avanti l’attesa che anche il nostro Paese finisca per legittimare l’eutanasia.
La soddisfazione di Enrico Letta e le dichiarazioni al limite dell’entusiasmo dell’altro leader cattolico del centro-sinistra, Giuseppe Conte, nulla tolgono all’impressione che si siamo messi nelle mani dei radicali. I quali conducono la regia di un’operazione che va oltre quanto indicato al Parlamento dalla Corte, in ordine alla depenalizzazione dell’aiuto al suicidio. Del resto, secondo copione.
Non a caso l’aula di Montecitorio è riuscita, ad esempio, accogliendo un emendamento dell’on. Magi di “+Europa”, a peggiorare l’articolato, frutto della mediazione condotta in Commissione dai due relatori di PD e M5S. Un emendamento diretto a limitare il ruolo del medico entro il percorso di valutazione della domanda del paziente di poter porre fine volontariamente alla propria esistenza, restringendo il suo compito ad un profilo strettamente medico, impedendogli di valutare anche il contesto “familiare e sociale”. Si tratta di un passaggio dell’iter di approvazione della legge che potrebbe sembrare poco meritevole di essere posto in primo piano e che, al contrario, va osservato da vicino perché è indicativo di più’ aspetti della strategia in atto.
Anzitutto – sia consentito – si tratta di un emendamento stupido. E’ francamente ed universalmente acquisito, in ogni campo, che l’approccio clinico è di per sé inclusivo di quei profili ambientali, sociali e familiari che sono parte essenziale addirittura dell’incipit di ogni atto sanitario, che prende avvio, appunto, dall’anamnesi. Molti dati clinici possono essere ambigui o ambivalenti se vengono assunti nella loro mera espressione strumentale o semeiotica e vengono precisati, appunto, solo ove vengano ricomposti entro un quadro che complessivamente consideri, in ogni suo aspetto, il “vissuto” del paziente, quello storico e quello attuale. Se è così sempre, anche a fronte di patologie ordinarie, figuriamoci quanto sia sostanziale e vero quando è in gioco una situazione di tale delicatezza.
Si tratta di un emendamento disumano perché è, in definitiva, inteso a decontestualizzare la situazione del paziente dal suo ambito relazionale ed affettivo, inchiodandolo, a maggior ragione, alla sua disperata solitudine, nella misura in cui lo restringe alla sua condizione solo e strettamente biologica. E’ come se si volesse, se così si può dire, carpire la volontà espressa dal paziente e congelarla una volta per tutte. Non a caso, del resto, un illustre bioeticista – come già ricordato in un articolo comparso su queste pagine poco più di un mese fa – è giunto ad affermare: “…….un eventuale aumento del numero di morti volontarie assistite va visto come un “salire alla vetta”.
Insomma, siamo di fronte a forme ideologiche francamente patologiche e deliranti. Ed è, infine, un emendamento pretestuoso, strumentale a porre un segno più crudo, ideologicamente marcato, su una legge che – almeno questo suggerisce l’esperienza – è evidentemente concepita dai radicali come una tappa di progressivo avvicinamento all’obiettivo finale. E’ lo stesso copione osservato in altre battaglie “radicali”, ove si è cercato di procedere sia pure millimetricamente, per passaggi subentranti, creando ad arte incidenti di percorso che valessero come provocazioni, a loro volta finalizzate a creare certi orientamenti emotivi nella pubblica opinione, preparando psicologicamente il terreno per avanzamenti successivi del fronte. Non a caso, l’ Associazione “Luca Coscioni” si dichiara insoddisfatta,
che è un modo come un altro per dare appuntamento alla prossima spallata.
Nella stessa direzione si muove il fatto che sia stato respinto un emendamento che intendeva introdurre l’obbligatorietà delle cure palliative. Cosi, come ha osservato in aula l’on. Palmieri, suscita legittime preoccupazioni il riferimento a “condizioni cliniche irreversibili”. Concetto largo e mal definito – non contemplato nella sentenza della Corte – che può rappresentare il passepartout per una interpretazione via via estensiva della legge, cosicché si pongano in essere “fatti compiuti” da cui non si torna indietro ed, anzi, spingano ad una progressiva assuefazione nei confronti di comportamenti che, alla fin fine, si fa conto, la legge finirà per codificare. Ma non è finita qui, dato che il testo approvato a Montecitorio passa al Senato. E c’è da augurarsi che Palazzo Madama non si limiti, magari per una mal posta urgenza che non ha nessuna ragion d’essere, a passare le carte, ma intervenga seriamente nel merito dell’articolato, che presenta importanti margini per possibili ripensamenti.
Ad ogni modo, l’ adempimento legislativo che la Consulta ha indicato al Parlamento va inteso a contestualizzare nel nostro ordinamento quanto, appunto, la stessa Consulta ha sentenziato in ordine alla depenalizzazione dell’aiuto al suicidio assistito, prevedendo, peraltro, limiti rigorosi, clausole puntuali e condizioni restrittive che, peraltro, non vanno lasciate, sul piano applicativo, alla libera, articolata interpretazione di questo o quel giudice. In nessun modo, ciò che la Corte Costituzionale ha sentenziato in ordine all’art. 580 del Codice Penale può essere strumentalizzato, assumendolo quasi fosse una crepa da cui ricavare una fessura e poi via via allargare il varco, per avanzare comunque un passo dopo l’altro, malgrado sia stato bocciato il referendum “eutanasico”, verso tale approdo.
Le forze che hanno sostenuto la legge in oggetto chiariscano definitivamente il loro orientamento in ordine all’eutanasia. Se sono d’accordo lo dicano chiaramente e ce ne faremo una ragione. Quello che non è consentito è che giochino alla “mano morta”, cioè si adattino ad assecondare di fatto la strategia dei radicali che di queste cose se ne intendono e, come in altre occasioni, cercano, per un verso di addormentare il gioco e, per altro, conducono la danza fino a raggiungere il loro obiettivo.
Domenico Galbiati