Dopo le elezioni dei Presidenti di Senato e Camera è esplosa una polemica sulle due scelte che hanno portato Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana a sedere sugli scranni più alti di Palazzo Madama e di Montecitorio.
La Russa partecipò alla profonda revisione avviata da Gianfranco Fini. E non è un caso che egli durante il discorso d’insediamento abbia ricordato Pinuccio Tatarella che, più di altri, concepì la necessità da parte della destra post fascista di lasciare nel passato ciò che vi andava lasciato. Anche nel linguaggio e nella postura politica.
Pure La Russa, per dirla alla Meloni, è un “patriota”. Termine utilizzato con una certa voluta insistenza creando una certa confusione con Patria e patriottismo, due termini non costituiscono solo un patrimonio della destra. Il messaggio subliminale lanciato continuamente dimostra l’esistenza della necessità di andare ancora più avanti in un percorso di revisione. Il quale, paradossalmente però, sembra trovare un ostacolo proprio nel modo in cui la coalizione guidata da Giorgia Meloni ha vinto le recenti elezioni politiche generali e si è subito andata comportando, anche con la scelta dei due Presidenti delle Camere.
La pratica del passato di lasciare all’opposizione la Presidenza di una delle due non è stata affatto peregrina. Per questo, le buone intenzioni proclamate da Giorgia Meloni non sono state ancora seguite da fatti concreti e, così, non può oggi lamentarsi se taluni non credono molto sull’avvio di una nuova stagione basata sulla ragionevolezza e sul confronto.
L’elezione di Lorenzo Fontana, ha confermato che la principale preoccupazione della coalizione della Destra, come pure la vicenda esplosa al Senato, a seguito del mancato voto di Forza Italia a favore di La Russa, è solamente quella di trovare un equilibrio di potere al proprio interno. Al punto di dare l’impressione di non riuscire a distinguere il piano proprio delle istituzioni e quello del confronto, e se necessario, dello scontro tra i partiti.
Dopo giorni e giorni di mercanteggiamento, si è giunti alla scelta di un leghista di cui si ricorda, in realtà, il fallimento alla guida del Ministero alla famiglia e s’insiste molto sulla sua estrazione cattolica. Qualche anima candida, magari non conosce affatto i meccanismi che regolano la vita parlamentare, giunge a favoleggiare chissà quale ruolo egli potrà mai svolgere dalla Presidenza di Montecitorio. Da Titano solitario dovrebbe difendere la “famiglia naturale”. Come se il compito potesse essere affidato al solo Fontana. In ogni caso, è stato davvero curioso vedere circoscrivere l’importanza della sua elezione al solo fatto che egli sia un cattolico.
Il fatto è che Fontana è uno di quegli integralisti che contribuiscono ad appiattire i cattolici sull’immagine che ne da la sinistra laicista ed anticlericale. E così si perpetua una una situazione per cui al falò delle confusione vengono portate le fascine dalla destra come dalla sinistra.
Per quanto possa essere modestissimo il mio contributo ad una certa e necessaria chiarificazione, mi sembra opportuno precisare che, mentre Lorenzo Fontana avrà sempre il mio massimo rispetto in quanto chiamato ad assumere la Terza carica del mio stesso Paese, egli non riceve né il mio sostegno politico e neppure l’autorizzazione a rappresentarmi in quanto “cattolico”.
I motivi sono numerosi: non credo nell’egoismo sociale espresso dalla Lega; non trovo in Putin alcun riferimento plausibile e, a differenza di quel che dichiarò a suo tempo Fontana, non sono affatto entusiasmato dalla costruzione della “società cristiana” come, a suo avviso, uscirebbe plasmata dalle sapienti mani del Presidente russo. Recentemente, ma con grande ambiguità sembrerebbe che il Presidente Fontana abbia preso un po’ le distanze da quelle dichiarazioni non dissipando, però, una nube di reticenze che potrebbero finire per avere un certo qual peso. Egli, infatti, si sarebbe limitato a dire che le magliette indossate con la faccia di Putin, o con impresso il “no alle sanzioni”, sono state riposte in un cassetto.
Inoltre, non concordo assolutamente con l’idea che egli ha del “prossimo” che non è quello che mi sta più vicino. Ma questo concetto egli trova la giustificazione per preoccuparsi dei poveri italiani e, poi, di quelli immigrati. Così facendo, produce del caos intellettuale e politico. Perché il problema va ben oltre la lotta tra poveri. Riguarda fenomeni epocali alla cui base, riconosciamolo, c’è anche una parte di responsabilità dei paesi ricchi. In particolare, di quelli che hanno sfruttato, diviso ad arte, corrotto e insediato vere e proprie autocrazie, se non dittature, in paesi che sono stati per secoli sotto il gioco coloniale. O in altri casi trascinati in guerre e conflitti innescati da dinamiche che non li riguardavano direttamente o, almeno, immediatamente.
Lorenzo Fontana ha tre lauree. Ma, forse, se avesse controllato la Treccani avrebbe visto che, proprio riferendosi a quel Catechismo che egli richiama a giustificazione della propria discutibile tesi, riferisce l’uso del termine “prossimo”, proprio nel linguaggi ecclesiale, ad ” ogni uomo rispetto a un altro uomo in quanto uniti dal vincolo della carità cristiana: anche lui è un tuo prossimo; aiuta i tuoi prossimi. Più spesso con valore collettivo: ama il prossimo tuo come te stesso, precetto evangelico; la carità verso il prossimo”. E sempre la Treccani ricorda Dante: “A Dio, a sé, al prossimo si pòne [= si può] Far forza”. E il Foscolo:” tanti milioni di creature tutte mio prossimo.
Così, è vero che il nuovo Presidente della Camera è cattolico, ma si tratta di un qualcosa che non significa immediatamente che egli diventi il rappresentante di una categoria di persone, cittadini e votanti tanto ampia e pluralista qual è quella solitamente legata al cosiddetto “mondo cattolico”.
In ogni caso, se egli a Montecitorio saprà onorare al proprio ruolo e alla propria responsabilità, non gli farò certo mancare i miei auspici più sentiti di buon lavoro.
Giancarlo Infante