Quale sia l’eredità politica che Berlusconi lascia all’ Italia – “Il Paese che amo…” come ebbe a dire nel video-messaggio con cui annunciava nel ‘94 la cosiddetta “discesa in campo” – lo si potrà evincere anche dall’evoluzione cui andrà incontro la sua, mai svezzata creatura politica. C’è chi ritiene, al contrario, che Forza Italia sia, invece, irrevocabilmente destinata a dissolversi. Come un esercito sbandato, i resti di quella che fu una gloriosa armata, i reduci di antiche battaglie vengono detti pronti a militare sotto altre bandiere.
Va osservato come Forza Italia sia una compagine nata nel segno di una palese, quanto inosservata contraddizione.
Prende le mosse da un impero industriale e mediatico che ne rappresenta il calco. Un impero che nasce e prospera in una stretta connessione con la “vecchia politica” e, in particolare, con il socialismo craxiano. Ciò non di meno, le emittenti Fininvest non si fanno mancare nulla quando si tratta di suonare la grancassa e allinearsi alle artiglierie che sparano a palle incatenate sui partiti della “Prima Repubblica”. Salvo presentarsi agli elettori con il sembiante immacolato e la studiata ingenuità dell’ “antipolitica”, della caccia ai partiti ed alle vecchie classi dirigenti come se Berlusconi, e i suoi più fidati amici, quel mondo non l’ avessero mai frequentato e, anzi, da sempre l’avessero avuto in gran dispetto.
Va riconosciuto, per un verso, che il riferimento a Berlusconi, al pragmatismo dell’ imprenditore di successo ha avuto un effetto di rassicurazione in quel passaggio di grande turbamento che avrebbe potuto piegare in altre direzioni. Per quanto il muro di Berlino fosse caduto ormai da cinque anni, l’appello del Cavaliere, la chiamata alle armi nei confronti di un comunismo pur mortalmente ferito, ha funzionato da formidabile catalizzatore elettorale. Peraltro, a fronte dell’ incredibile “gioiosa macchina da guerra” messa su da Occhetto.
Per altro verso, Berlusconi l’ ha messa giù facile ed anziché porre mano alla “rivoluzione liberale” promessa – il che avrebbe richiesto una strutturata cultura politica che Forza Italia non ha mai avuto – ha spinto il Paese verso quella deriva “populista” di cui tuttora soffriamo. A questo proposito, non va, peraltro, mai dimenticato come la peggior cosa che si possa imputare al populismo sia l’inganno perpetrato, soprattutto a danno delle persone più semplici, meno accreditate culturalmente, più facilmente distolte da un personale giudizio critico ed ammassate dietro le insegne del presunto “uomo forte”.
Interessante pure osservare quali dinamiche potranno fiorire in una forza politica che in trent’ anni non ha mai celebrato un congresso e non ha, dunque, nessuna esperienza di confronto, di dialogo e di mediazione interna. I pochi che hanno avuto l’ ardire di pensarla diversamente o hanno rinunciato a ragionare in proprio oppure hanno dovuto andarsene. Del resto, si è trattato di un partito “padronale” in senso stretto. Berlusconi l’ ha talmente concepito in funzione di sé, del suo modo d’intendere la politica e i propri interessi, da non aver mai pensato ad un possibile successore. E questo, vien da dire, non tanto o non solo per presunzione, ma coerentemente all’assunto originario da cui il partito è nato.
Un successore sarebbe stato necessario e possibile se Forza Italia avesse rappresentato o rappresentasse un indirizzo di pensiero, se avesse accumulato una cultura politica destinata ad andare oltre il “verbo” inappellabile del fondatore. Ma, a quanto pare – salvo improbabili smentite – così non è.
Domenico Galbiati