Secondo uno studio unico nel suo genere, realizzato da Common Wealth e da Climate and Community Project, le forze armate statunitensi e britanniche hanno provocato danni all’ambiente equivalenti ad almeno 111 miliardi di dollari che, secondo The Guardian (CLICCA QUI) che l’ha reso noto, dovrebbero andare in risarcimento alle popolazioni più danneggiate dall’inquinamento che provoca il riscaldamento del pianeta.
I ricercatori hanno stimato che i due eserciti messi insieme hanno generato almeno 430 milioni di tonnellate di anidride carbonica, un quantità superiore al totale delle emissioni di gas serra prodotte nel Regno Unito lo scorso anno.
106 miliardi di danni sono addebitabili all’esercito statunitense e cinque a quello britannico in relazione ai calcoli fatti considerando i danni apportati all’ambiente a seguito della liberazione di CO2 nell’atmosfera. I ricercatori tengono a precisare che, in realtà si tratta di cifre che potrebbero essere di molto inferiori a quelle realmente effettive. E questo perché gli studiosi valutano come “opachi” ed “incompleti” i dati forniti dai governi in questione che non comprendono tutte le emissioni legate alle catene di approvvigionamento e alle loro basi nel mondo che sono circa 900. Inoltre, sono emessi tutti i dati relativi al 2017 e al 2018 perché l’esercito britannico non ha comunicato le proprie stime sulle emissioni. Lo stesso vale per gli Usa per il 2022 giacché le cifre statunitensi non sono state ancora comunicate.
“Secondo i ricercatori, l’impatto ambientale provocato dalle forze armate statunitensi e britanniche va ben oltre il riscaldamento dovuto alle emissioni di gas serra, ricorda The Guardian. Il costo sociale del carbonio, infatti, non tiene conto dell’impatto sulla salute delle comunità vicine ad attività militari – dall’atollo di Bikini nelle Isole Marshall, dove i test nucleari negli anni ’40 e ’50 portarono a gravi danni ambientali; a Vieques, Porto Rico, dove decenni di inquinamento chimico da parte della marina americana hanno aumentato enormemente il rischio di malattie cardiovascolari e respiratorie per la gente del posto; all’Iraq, dove l’uso dell’uranio impoverito da parte delle truppe ha portato a diffusi problemi di salute, tra cui difetti congeniti durante la guerra del Golfo e l’invasione del 2003”.
Si valuta che le forze militari sono responsabili complessivamente del 5,5% di tutte le emissioni mondiali. Già nel 2019 due studi indicavano nell’esercito statunitense il più grande emettitore istituzionale di gas serra al mondo e il più grande consumatore istituzionale di combustibili fossili. The Guardian ricorda pure che “le emissioni militari sono state esentate dagli accordi internazionali sul clima dal 1997, quando gli Stati Uniti hanno esercitato con successo pressioni per mantenere l’attività militare all’estero fuori dal protocollo di Kyoto. Durante i colloqui di Parigi del 2015, i leader hanno tecnicamente rimosso l’esenzione, ma hanno reso facoltativa la comunicazione delle emissioni militari”.
Il rapporto raccomanda che i due paesi contribuiscano con un totale di 111 miliardi di dollari a un fondo governato in modo indipendente per i paesi a basso reddito in prima linea nella crisi climatica, con le regioni più vicine alle infrastrutture militari statunitensi e britanniche destinate a ricevere la maggior parte degli aiuti.
L’anno scorso, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha avviato un processo per affrontare le emissioni della catena di approvvigionamento e, nel 2020, l’agenzia ha annunciato di aver ridotto le sue emissioni del 23% rispetto ai livelli del 2008 (sebbene tali cifre non includessero navi, aerei e navi altamente inquinanti o veicoli da combattimento). Il Ministero della Difesa britannico ha inoltre affermato di aver ridotto l’inquinamento e “aumentato la propria attività di sostenibilità” in linea con i piani per raggiungere emissioni nette pari a zero in tutti i settori del Regno Unito entro il 2050.
CV