Anche la politica dovrebbe guardare con attenzione alla “Giornata del Bambino” che Papa Francesco ha indetto per i prossimi 25 e 26 maggio.E trarne ispirazione. Traducendo sul piano civile la sollecitudine pastorale, ma non solo, del Pontefice nei confronti delle età minori della vita, che le istituzioni – ad ogni livello, centrale e periferico – dovrebbero assumere come una priorità assoluta.
In altri termini, un punto fermo capace di orientare una visione complessiva ed integrata delle politiche sociali.
Prendendo le mosse dalla ricchezza innata dell’età evolutiva – infanzia ed adolescenza – ma anche dalle tante barriere che opponiamo alla libera espressione della loro connaturata creatività. Politiche che si lascino guidare dal valore umano e dalla centralità della persona, fattori che nel bambino spontaneamente si mostrano con la più chiara evidenza.
Oggi l’umanità, un po’ ovunque, non solo nei paesi a maggior tasso di sviluppo, si restringe. Quello della denatalità è un fenomeno più complesso di quanto comunemente si creda. Non è pensabile che si possa invertirne la tendenza agendo sulla leva dei servizi e delle altre facilitazione che nuovi modelli di organizzazione sociale possano offrire alle famiglie. Si tratta, infatti, di una questione che non concerne, come si dice comunemente, il rapporto delle donne e degli uomini del nostro tempo con le generazioni future, bensì la comprensione che hanno di sé stessi, la fiducia e la stima che hanno maturato di sé e della vita, la speranza, il sentimento di attesa che ancora li anima oppure hanno smarrito.
Occorrerebbe un ampio rivolgimento culturale del quale, scrutando l’orizzonte, ancora non si scorge nessuna avvisaglie. Al contrario, la vita oggi, per taluni aspetti, sembra essere avvertita come una minaccia piuttosto che come un dono da custodire e donare a sua volta. I contraccettivi come armi, come lamenta Papa Francesco, l’aborto rimesso alla piena discrezionalità della donna, l’eutanasia: la vita oggi non gode di buona stampa ed è come se ce ne dovessimo guardare.
Ma chi sono davvero i bambini?
È così scontato chiederselo? Chi sono se cerchiamo di vederli nel particolare momento storico che attraversiamo? Ci siamo mai chiesti cosa pensino di noi, del mondo in cui approdano?
Vien da rispondere così: i bambini, oggi e sempre, sono quelli del “perche’”. Ed è cosa tutt’altro che banale, soprattutto in un mondo come il nostro, rutilante eppure insicuro e percorso da mille paure.
Il “perché ” ed il “perché del perché”, quella domanda cocciuta così tipica dei bambini, ha molto da dire su ciò che originariamente c’è nel cuore dell’uomo.
Vuol dire che sappiamo, interiormente, istintivamente, prima di ogni esperienza, che le cose hanno un senso. Sappiamo che c’è una connessione necessaria, un prima ed un dopo, una causa ed un effetto, una ragione che dà conto della particolarità di quel momento perché idealmente lo inscrive in un cosmo, in un ordine del mondo che lo trascende.
La realtà in cui viviamo non è evanescente, frammentata e scomposta, priva di senso, senza radici e senza scopo, abbandonata a sé stessa, ad un fluire occasionale di eventi, destinata a scivolare, secondo le leggi dell’entropia, nel nulla, cosicché non resta che afferrarne i brandelli che, nel breve volgere del proprio arco esistenziale, si possono afferrare qua e là.
I bambini sanno quello che noi abbiamo scordato: che la realtà che ci circonda e la vita stessa sono cose che si tengono, da cima a fondo, e, dunque, hanno in sé una dignità insopprimibile che esige cura e rispetto.
Domenico Galbiati