Francia e Germania insieme: Merkel e Sarkozy, poi Merkel Hollande e, infine, Merkel e Macron. Quella che un tempo era un’innaturale alleanza, guida l’Europa da oltre una decade. Odiato dai populisti, blandito, vanamente, dai partiti europeisti il duopolio franco-tedesco è la guida incontrastata dell’Unione.
In 2000 anni di storia, i buoni rapporti tra i popoli che hanno per confine il Reno costituiscono eventi eccezionali e, di solito, figli di un comune nemico.
Giulio Cesare, nel suo celeberrimo De Bello Gallico, già scriveva dei consolidati cattivi rapporti tra popolazioni galliche e germaniche. Quest’ultime, dopo anni di scontri, erano considerate superiori militarmente alle prime e per secoli gallo-romani si contrapposero alle popolazioni barbariche di Germania.
Dopo le turbolenze del periodo delle invasioni barbariche le due sponde del Reno furono pacificate e riunite da Carlo Magno, re dei Franchi, che creò il Sacro Romano Impero: un’entità che, rapidamente, acquisì identità germanica e che si contrappose sovente al regno di Francia, al punto che la sua fine fu conseguenza della vittoria francese ad Austerlitz nel 1806.
La fine dell’impero non pose fine ai conflitti tra germanici e francesi tant’è che nel 1870 -71 i prussiani sconfissero duramente la Francia e, su questa vittoria, costruirono l’unificazione della Germania. Il nuovo stato, manco a dirlo, mantenne inalterate le dispute e i dissapori con i dirimpettai d’oltre Reno tanto che affronterà nuovamente con i francesi nelle due guerre mondiali.
L’attuale binomio rappresenta dunque un unicum nella storia del continente, ma cosa lo ha reso possibile? Alcuni diranno “l’Europa unita” altri “40 anni di Guerra fredda” altri ancora ipotizzeranno una comune volontà di emanciparsi dagli USA.
In realtà, Germania e Francia oggi sono unite e costituiscono un duopolio europeo perché complementari.
Dopo la II guerra mondiale la nazione più militarista del continente, la Germania, ha abdicato all’uso della forza e si è concentrata sviluppando un potenziale industriale-tecnologico di prim’ordine. La Francia, dal canto suo, ha fatto tesoro dell’impero coloniale creandosi un’area di influenza esclusiva sull’Africa occidentale, adottando una politica militare di appoggio esterno alla NATO e portando avanti una politica estera alternativa a quella USA; De Gaulle ed eredi non sono propriamente amati dalle parti di Washington.
Ecco dunque che negli anni 2000, finalmente, Germania e Francia si completano: i primi possiedono la forza produttiva, ma non l’influenza geopolitica e tantomeno la forza militare dei secondi e quindi, possono agire uniti, senza grossi attriti.
Analizzando questo semplice dato di fatto si capisce come il “battere i pugni sul tavolo” di renziana memoria o i proclami di Salvini e compagni, circa un “sovvertimento” degli equilibri, siano la stessa cosa: lettera morta, per non dir di peggio.
L’Italia, complice la sconfitta nell’ultima guerra, ha seguito un modello di sviluppo molto simile a quello tedesco con, però, una maggior influenza geopolitica conquistata negli anni della prima repubblica seguendo la forza del “soft power”.
Ovviamente, il nostro paese non può essere l’alternativa alla “locomotiva d’Europa” e, secondo alcuni, s
e vuole uscire dall’angolo e ridefinire gli equilibri interni all’Europa, deve necessariamente guardare a est. Vuoi perché a ovest non vi sono spazi di manovra, vuoi perché analoga complementarietà a quella del binomio Franco-Tedesco la possiamo trovare solo, in misura diversa, con i paesi a est dell’adriatico.
La realtà (per alcuni cosa spiacevole) ci racconta infatti che la seconda forza militare europea, su cui, guarda caso, stanno puntando forte gli Usa, è la Polonia e, in generale tutto il blocco ex Varsavia che, con il gruppo Visegrad, prova a far valere le proprie istanze nella UE.
Spiace dirlo ma se l’Italia vuole evitare la marginalità europea dovrà necessariamente replicare, più in piccolo e magari multi lateralmente, il modello di complementarietà dell’asse franco-tedesco: capacità produttive e tecnologiche unite a un sufficiente potenziale militare.
Chi pensasse che l’importanza degli eserciti sia superata, purtroppo, può ricredersi. Basta giardare alle ” manovre” che avvengono/sono avvenute in Siria, Ucraina, Libia, Chad, Iraq, Niger ecc.
Chi riesce a mettere gli “stivali sul campo”, intervenendo fattivamente nelle controversie regionali, ha diritto di parola, gli altri si accomodano in tribuna.
Non a caso la Francia è intervenuta militarmente in Siria, seppur simbolicamente, ma è presente in Chad, Centrafrica, Libia e in generale nelle ex-colonie. Ancor meno per caso, è assolutamente contraria alla presenza della missione italiana in Niger che va a interferire nelle vicende di una nazione vista dai transalpini come loro zona esclusiva di influenza.
Mattia Molteni