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Fuorionda e carte giudiziarie sono il combustibile per i populismi – di Domenico Delle Foglie

Considerato che Striscia la notizia ha ben 35 anni di vita sulle reti Mediaset e Report “soli” 29 in Rai,  e che i fuorionda e le carte delle procure sono il loro pane quotidiano, è legittimo chiedersi se ci si possa ancora scandalizzare. I loro creatori, rispettivamente Antonio Ricci (classe 1950) e Milena Gabanelli (classe 1954) sono figli del secolo scorso. Due boomers che, da vivi, occupano un posto d’onore nel Pantheon dei creatori televisivi, al pari di Maurizio Costanzo e di Mike Bongiorno. Entrambi famosi per la loro consumata capacità di stressare i palazzi  del potere, l’uno con i fuorionda e l’ironia scorticante e l’altra con il giornalismo investigativo. .

Ultima sorpresa il fuorionda di Striscia che ha seppellito definitivamente la relazione fra la premier Giorgia Meloni e il compagno Andrea Giambruno, protagonista di una scellerata performance sessista e volgare a telecamere “spente”, durante la conduzione del suo programma televisivo. Occasione troppo ghiotta per Antonio Ricci che il materiale scottante, non è la prima volta che accade, ce l’ha in casa. Infatti i fuorionda provengono principalmente da altre trasmissioni della sua emittente. Tutti lo sanno e nessuno può ritenersi al sicuro. Eppure, in tanti continuano a sbagliare. Cioè a straparlare fra una pausa e l’altra delle trasmissioni. Ma che si tratti di politici maldestri è comprensibile, ma quando cadono nella rete gli stessi personaggi della tv come Flavio Insinna (giusto per citare un caso famoso) o lo stesso Giambruno, qualche domanda in più occorre farsela.

In ogni caso, per quanto spiacevoli e cariche di conseguenze, le due trasmissioni hanno svolto un ruolo storico, rispettivamente nella tv privata e in quella pubblica. Farne a meno oggi è impossibile, così come lo è ogni tentativo di controllarle o indirizzarle. Il mezzo è diventato così potente da impedire persino a un padrone privato, qual è la stessa famiglia Berlusconi, di mettere un freno o di condizionarne la messa in onda. Per la tv pubblica, poi, si tratterebbe di una censura insopportabile.

Ora ci restano solo due piccole osservazioni, forse non marginali. La prima riguarda il futuro, infatti è difficile immaginare Striscia la notizia senza Antonio Ricci (a cui ovviamente auguriamo lunghissima vita e creatività) e allo stesso tempo è arduo immaginare cosa ne sarà di Report, già passata di mano da Gabanelli a Ranucci, ma con alterne fortune di audience.  La seconda osservazione riguarda la stessa televisione e la sua capacità di creare l’evento, insidiata com’è dai social e dall’intelligenza artificiale. Infatti, non si può vivere di rendita all’infinito contando sui fuorionda (Striscia) e sulle soffiate degli inquirenti e non solo (Report).

Infine, qualche  domanda forse non banale. Arrendersi alla rappresentazione della vita (non “pubblica” ma “messa in pubblico”) è davvero il destino che attende la tv? Nel caleidoscopio delle vite spettacolarmente non spendibili (cioè quelle della maggioranza assoluta degli esseri viventi) chi avrà domani le luci delle telecamere puntate addosso? I fuorionda di ogni genere, complici le nuove tecnologie invasive e incontrollate, diventeranno un nuovo genere di consumo? Saranno anche loro un tassello della cosiddetta fabbrica del controllo? E dunque, avranno anche un prezzo, come già accade per i nostri dati personali? E che ne sarà della tanto invocata privacy da tutelare?

Detto questo, Striscia e Report hanno segnato la vittoria di uno dei più fortunati (e triti) slogan del Sessantotto: “il privato è politico”.  Visti i risultati, siamo sicuri che ne possiamo gioire? Siamo davvero certi che tutta questa esibizione del privato (cattivo) produca politica (buona)? Sinceramente ne dubitiamo, considerato che le parole rubate negli studi televisivi e le carte giudiziarie usate come reliquie, sono state il miglior combustibile per il peggior populismo.

Domenico Delle Foglie

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