In Italia ci stiamo dilettando con la politica fatta di grandi chiacchiere molto lontana dai veri problemi del Paese, ma anche di quelli che ci accomunano al resto del mondo.

Eppure, tutto ci dice che dovremmo occuparci di altro. A partire dalla questione climatica e del drammatico innalzamento delle temperature.

Il dibattito sembra molto più riguardare il tasso più o meno alto di  “ideologizzazione” presente nelle grida d’allarme che, oramai, gli scienziati ci inviano pressoché quotidianamente. E se la destra è impegnata particolarmente, gli altri non sembrano in grado di offrire un progetto globale alternativo a qualcosa che vada oltre la gestione dell’esistente. 

In realtà c’è da valutare se non si tratti di una difesa dei vecchi sistemi di produzione e di consumo. È assolutamente comprensibile il richiamo alla necessità di conciliare l’innovazione con la salvaguardia degli equilibri sociali ed economici. Ma non esiste solo il problema dell’auto elettrica che, inevitabilmente, paga l’esistenza di gruppi d’interesse che non esitano, per quella e per altro, a scatenare un vero e proprio scontro ecomico mondiale.

C’è anche da chiedersi se il problema possa, e debba, essere ridotto solo alla pur necessaria riduzione delle cause dell’inquinamento provocate dal traffico.

È un modo riduttivo di affrontare problemi molto più ampi che chiedono alla politica al mondo economico produttivo e anche ai cittadini ben altra attitudine.

E bisogna avere il coraggio di ammettere l’inevitabile opportunità di avviare una trasformazione che riguardi anche la spesa pubblica e gli investimenti necessari per conciliare la transizione con l’equita’ sociale. Nella considerazione che nuove forme di produzione, lo stesso intervento ambientale e la rigenerazione dei territori possono creare nuove figure professionali e nuovi posti di lavoro.

La contrapposizione tra la scelta tra il passato e la trasformazione serve molto spesso solo a conservare interessi consolidato e restii ad investire, magari perché convinti che sia più conveniente puntare sull’assistenzialismo, difendere rendite di posizione e comprimere il costo del lavoro.

In attesa che ci si renda conto del fatto che Sagunto è già stata persa, dobbiamo considerare che i fenomeni più rilevanti in materia ambientale, per quanto molte nostre contrade subiscano già effetti pesanti, finiscono per interessarci comunque direttamente.

L’alternarsi di inondazioni e siccità hanno portato al raddoppio del numero degli sfollati. Da 3,5 milioni nel 2013 siamo passati. a 7,9 milioni nel 2023.

In totale, come dicono i dati UNHCR, l’agenzia ONU che si occupa dei rifugiati, nel 2023 abbiamo toccato la cifra di 120 milioni di rifugiati nel mondo, dovuti prevalentemente ai cambiamenti climatici, in aggiunta a quelli provocatiche spesso da guerre e povertà.

È quindi chiaro che va completamente rivista la divisione dei migranti tra quelli cosiddetti economici e gli altri.

Il mondo ha raggiunto per 12 mesi consecutivi temperature superiori di 1,5°C (2,7°F)  alla media  dell’era  industriale.

Ecco perché non ha senso chiedersi “per chi suona la campana”, ma far partecipe anche il nostro Paese in un processo di rigenerazione ineludibile in grado di farci rispondere con un “no” al quesito se sia già persa la guerra del riscaldamento globale. Ma questo richiede scelte precise che, purtroppo, non sappiamo con certezza che possono venire da chi sembra pensare ad altro.

 

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