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Gianni Vattimo, tra pensiero debole e vita estetica – di Giovanni Cominelli

Il punto di partenza del cosiddetto “pensiero debole” di Gianni Vattimo è Nietzsche, un filosofo che non ha mai scritto opere sistematiche di filosofia, ma che ha costellato i suoi libri di aforismi fulminanti, che hanno lasciato il segno su tutti i filosofi del Novecento.

Uno di questi aforismi suona così: ”Tatsachen gibt es nicht, nur Interpretationen”. Cioè: “Non ci sono fatti, ma solo interpretazioni”. Tradotto: la realtà non esiste. La realtà è una mia proiezione, una mia costruzione. Al fondo, è kantismo radicale, depurato di ogni suo residuo metafisico, relativo a Dio, l’Anima, il Mondo. Nietzsche concludeva una lunga storia, che i Maestri della Neo-scolastica avevano descritto – si pensi a Gustavo Bontadini – come storia dello Gnoseologismo.

Inaugurato da Cartesio, lo Gnoseologismo consiste nel separare a priori l’Essere dal Pensiero, l’Oggetto dal Soggetto, in ciò adottando come approccio epistemologico quello delle scienze fisico-matematiche, per poi cercare disperatamente di ricollegarli. Con ciò veniva abbandonata la definizione tomista e aristotelica della verità come “adaequatio rei et intellectus”, in forza della quale la realtà è tutto ciò che appare nel pensiero. Così Hegel: ciò che non appare non esiste. Invece, in Kant, si costituiscono due livelli ontologici: quello del noumeno, realtà forte, ma oscura e inconoscibile, e quello del fenomeno, realtà debole, quale si manifesta attraversa il filtro soggettivo delle nostre dodici categorie come la punta dell’iceberg-noumeno.

Perciò l’interpretazione, cioè il pensiero, non rispecchiando la realtà nella sua pienezza, ma cogliendone solo l’ombra, come prigionieri nella grotta di Platone, il pensiero, dunque, è fatalmente “debole”. La filosofia, a questo punto, deve abbandonare la pretesa di dire che cos’è il mondo e, pertanto, la verità sul mondo. Si accontenti di interpretare le interpretazioni del mondo, di compararle criticamente. E poiché le interpretazioni accadono nel linguaggio, allora occorre concludere che “l’essere che può venire compreso è linguaggio”.

Questo è ciò che scrive Hans-Georg Gadamer, il fondatore della filosofia come ermeneutica, in “Verità e metodo”, del 1960, che proprio Vattimo tradurrà in Italiano nel 1983. Anche Gadamer ha illustri padri alle spalle: da Schleiermacher a Dilthey a Heidegger. E’ di Dilthey il concetto di “circolo ermeneutico”, in forza del quale la precomprensione influenza la comprensione e questa retroagisce sulla comprensione. Come suggerisce Gadamer: “Ciò che si deve comprendere è già in parte compreso”. Lo scivolamento dal campo della tecnica ermeneutica di un testo a quello dell’ontologia viene operato da Heidegger, se al posto di “testo” scriviamo “realtà”.

Così non l’intelletto filologico interpretante, ma il Dasein stesso diventa il luogo del sempre incompiuto dramma ermeneutico: un infinito gioco di specchi tra la realtà e il Dasein, attraverso il quale essa si manifesta, già segnata dal Dasein. Il comprendere è un modo di esistenza del Dasein, il cui orizzonte di comprensione è a sua volta prederminato da una pre-comprensione. Non si tratta di un gioco di parole. Siamo prigionieri dell’intreccio essere-pensiero, che ci tiene in ostaggio attraverso i pre-giudizi, le visioni del mondo. E questo è appunto il circolo ermeneutico, condizione fondamentale del processo cognitivo. Compito della filosofia non è spezzare il circolo, ma dipanare i fili che vi si intrecciano.

Vattimo non ha fatto altro che importare e tradurre in Italiano questa elaborazione filosofica tedesca. Donde la sua polemica contro “il pensiero forte”, per esempio quello di Emanuele Severino, rimasto eroicamente parmenideo come uno stilita sulla colonna dell’”Essere è”.

Né l’ontologia, universale o regionale che sia, né la metafisica, né il marxismo, né il positivismo, né la fenomenologia, né la psicanalisi riescono più ad avere consistenza nel frullatore del circolo ermeneutico. Non hanno più legittimazione epistemologica. Può accadere fortunosamente quella che Gadamer chiama “Horizontverschmelzung” – fusione degli orizzonti -, per la quale nel dialogo ermeneutico si fonde l’orizzonte degli interlocutori, ciascuno essendo interprete della pre-comprensione dell’altro. Ma è solo un risultato casuale.

Donde la critica ai “pensieri forti” del Cristianesimo, del Marxismo-Comunismo, della Fenomenologia, della Psicanalisi, dello Strutturalismo.

E quando gli è accaduto di frequentare i lidi del Cristianesimo e del Marxismo, ha sempre provveduto ad aggettivarli con “debole”, quasi a difendersi dalla pretesa di verità che emerge dal fondo del Dasein, cioè di ciascuno di noi.

L’attività filosofica, giunti a questo punto, non ha più il compito della verità, ma quello della consolazione e/o dell’analisi del linguaggio, dell’estetica della vita. E forse questa è stata la cifra della biografia di Gianni Vattimo: una vita estetica.

Giovanni Cominelli

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