Fonti non meglio precisate del Governo italiano hanno presentato la prima visita in Cina di Giorgia Meloni, atterrata ieri a Pechino, come un’occasione che “consentirà di rilanciare il rapporto bilaterale nei settori di comune interesse”. E che giunge “al termine di un’intensa iterazione istituzionale, che ha consentito il rilancio dei principali meccanismi di un dialogo strutturato con la Cina”.
Tutto questo avviene a pochi mesi dall’annullamento unilaterale da parte italiana del famoso accordo detto della Via della Seta. Un accordo che costituì il più clamoroso “cambio di passo” nelle relazioni internazionali del nostro Paese. Frutto del primo Governo Conte, nato con inedita e improvvisa alleanza tra i 5 Stelle e la Lega di Matteo Salvini.
Quella riproposizione del mitico collegamento tra il cuore dell’Europa e il gigante asiatico non fu affatto apprezzato all’interno del campo occidentale. A partire dagli Stati Uniti che, semmai, da anni sono impegnati nella costruzione di una vera e propria “cintura sanitaria” contro Pechino. Nei confronti di cui è ancora in atto una guerra commerciale, che con l’eventuale arrivo alla Casa Bianca del duo Trump – Vance rischia solo di essere approfondita. Ma la “stretta” americana, e non solo, ha anche una propaggine militare, come confermano le ricorrenti crisi legate a Taiwan e i diversi accordi militari stretti nell’area del Pacifico, tutti finalizzati a contenere la Cina.
Dalle interpretazioni della stampa non è ancora, al momento, possibile valutare esattamente il significato di questo viaggio, ed anche il tono enfatico con cui è stato presentato da alcuni organi notoriamente vicini alla nostra Presidente del Consiglio. Queste fonti, infatti, tendono ad ingigantirne la portata, parlando di risultati sia politici, sia per ciò che riguarda gli scambi e gli affari. La realtà dal canto suo fa pensare ad altri, forse più realistiche convergenze di interessi, accennando solamente alla possibilità di raggiungere qualche accordo in materia di auto elettriche, eolico e poco più.
L’Italia, in realtà, giunge ben ultima a Pechino, anticipata da Germania e Francia. E questo nonostante l’enorme e laborioso paese asiatico rappresenti il secondo nostro partner commerciale extra Ue, dopo gli Stati Uniti.
Significativo, e potenzialmente assai utile, è però che una dichiarazione di un portavoce delle autorità di Pechino accolga molto bene la visita. Limitandosi a versare una piccola goccia di veleno sui pasticci combinati dalla nostra diplomazia, quando si ricorda che essa si inserisce chiaramente nello “spirito della Via della Seta”.
Pechino non gradì certo che il Governo Meloni abbandonasse l’intesa sottoscritta da Conte. Ma non ne fece un casus belli, anzi fece buon viso a cattivo gioco. E ciò, non solo in continuità con una millenaria tradizione diplomatica; ma anche, e soprattutto, ben sapendo che, nelle relazioni internazionali dell’Italia con il resto del mondo, davvero determinanti sono gli interessi e le decisioni dei gruppi economici privati, che contano molto più dello Stato. Un atteggiamento, però, che può in definitiva essere utile a Giorgia Meloni. Per la quale, peraltro, il contatto ravvicinato con il vertice del potere di una tale potenza economica mondiale potrebbe essere – se saprà coglierla – una utile lezione di realismo.
Giancarlo Infante