• Una Giustizia lenta ed ancora di incerta durata

Ad alcuni mesi dalla approvazione del D.Lvo 150 nell’Ottobre del 2022 che ha introdotto la Riforma della Giustizia Penale, cominciano ad essere pubblicati i primi commenti al provvedimento nel suo complesso, quasi tutti orientati in senso sfavorevole della nuova normativa che appare,invero,farraginosa e non priva di critiche da parte dei Giuristi.

In particolare il Prof. Gian Luigi Gatta, già componente della Commissione per la Riforma varata dalla Ministra Cartabia,ha espresso,con vari interventi, il proprio convincimen to,del tutto condivisibile,che “La giustizia sarà più lenta e le vittime sono state di nuovo ignorate” .

Inoltre,in Commissione Giustizia della Camera, l’Illustre Giurista ha sostenuto che abolire la legge Bonafede, che blocca la prescrizione in primo grado, sarebbe un “favore per le difese degli imputati, ma per nulla per le vittime e per le parti civili”.

Sta di atto-secondo il Prof Gatta- che le vittime continuano a essere ignorate nel dibattito sulla prescrizione del reato, atteso che la prescrizione “non è un bene, non è normale, è una patologia del processo, la cui funzione naturale è l’accertamento dei fatti e delle eventuali responsabilità”.

La prescrizione, come l’improcedibilità,introdotta dalla riforma Cartabia, devono essere eventi eccezionali atteso che la fisiologia del processo è la sua ragionevole durata, che impedisce sia la prescrizione sia l’improcedibilità.

A beneficio di tutti: imputati e vittime.

E conclude: “la vera sfida di cui la politica dovrebbe farsi carico, anche in vista degli obiettivi del PNRR, è quella di un processo di ragionevole durata”.

Una valutazione che trae origine dalle preoccupazioni espressa dalla UE sull’amministrazione della Giustizia in Italia.

Nel recente rapporto, diffuso dalla Commissione europea per l’efficienza della giustizia (Cepej) lo scorso luglio, il gran numero di reati e le lungaggini del processo penale restano il primo nodo da sciogliere.

Nel settore penale, l’Italia si è impegnata a ridurre entro il 2026 del 25% i tempi in ciascuno dei tre gradi di giudizio.

Una scommessa sicuramente difficile da vincere considerando che l’Italia è al primo posto per numero di condanne della Corte europea dei diritti dell’Uomo dovute proprio alla irragionevole durata dei processi.

E’ opinione condivisa tra i Giuristi che il vero grande problema della giustizia penale italiana è il peso di processi che sono troppi ed esageratamente lunghi.

Secondo l’autorevole opinione del Prof. Vincenzo Musacchio, a partire dall’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale (1989) occorreva  procedere alla depenalizza zione di taluni reati che doveva costituire il necessario supporto del nuovo rito penale di

matrice accusatoria ma,in Italia, non esiste una adeguata politica criminale da almeno trent’anni.

Lo stesso studioso ritiene che sia giunta l’ora di bonificare il codice penale da una serie di reati che ormai non destano neanche più allarme sociale.

Criminalizzare qualsiasi comportamento antisociale pensando di risolvere il problema con l’uso della sanzione penale si è dimostrato nei fatti essere un percorso errato. L’applica zione della pena va riservata a quelle condotte che ledono realmente beni di rilevanza costituzionale e va affidata a persone realmente competenti e all’interno di un processo penale concretamente funzionante.

Nessuno, purtroppo-afferma il Prof Musacchio, ha oggi la forza e il coraggio di invertire la rotta degli indirizzi di criminalizzazione di qualsiasi condotta antisociale promuovendo una seria ed efficace opera di depenalizzazione.

E continua:“È una regola prima logica e poi giuridica che ciò che un tempo era ritenuto grave e deplorevole potrebbe nel tempo non esserlo più alla luce proprio dei cambiamenti politici, economici e sociali”.

Un caso esemplare che richiamo sempre ai miei studenti era l’ex reato di protesto di assegni e cambiali.

Tanti i processi che spesso ingolfavano i tribunali.

La depenalizzazione ha sicuramente consentito di sgonfiare la pressione sui tribunali incidendo su un numero decisamente inferiore di processi.

Depenalizzare significa non richiedere l’intervento del pubblico ministero e del giudice ma di altre autorità amministrative quali il Prefetto o il Questore.

È palese e incontestabile il vantaggio della depenalizzazione.

C’è di fatto l’alleggerimento del carico giudiziale per i magistrati che, in tal modo, si potrebbero dedicare ai processi per reati più gravi, senza perdere tempo nelle questioni che, di solito, non destano più particolare allarme sociale.

La depenalizzazione ha in sé numerosi vantaggi sia per lo Stato (processi penali più celeri e carceri meno affollate) sia per la collettività (meno reati e pene più certe). Depenalizzando infine sarebbe molto più agevole raggiungere gli obiettivi prefissati per ottenere i fondi del PNRR.

  • La Giustizia Riparativa ancora in itinere

Quanto innanzi esposto non nasconde la complessiva sfiducia dei Giuristi anche nei confronti della Giustizia Riparativa introdotta con la Riforma proprio allo scopo di accelerare i processi penali come alternativa utile al corso del Processo ordinario ma,soprattutto, a salvaguardare la posizione delle Vittime di Reato sempre ignorate in passato dal Legislatore.

La Giustizia Riparativa è definita dall’art. 42 del DLgs 150/2022 come «ogni programma che consente alla vittima del reato, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore».

Le sue attività, se attuate attraverso le modalità indicate dal legislatore, sono dunque riconosciute quali legittimi strumenti di gestione dei reati. Modalità di accesso ai programmi ed effetti giuridici di questi ultimi sono espressamente regolamentati dalla legge.

Nella G.U. n. 174 del 27 luglio 2023 è stato pubblicato il D.M. 25 luglio 2023, n. 97 recante il Regolamento relativo alla disciplina del trattamento dei dati personali da parte dei Centri per la giustizia ripartiva”, ai sensi dell’articolo 65 , comma 3, del DLgs n. 150 e ss, di attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134.

Si tratta dell’ultimo decreto attuativo che ancora doveva essere adottato dal Ministro della Giustizia in attuazione della riforma Cartabia in materia di giustizia riparativa.

Due precedenti decreti, relativi ai mediatori esperti (formazione e istituzione dell’elenco per l’esercizio dell’attività) sono stati pubblicati il 9 giugno 2023, oltre alla costituzione della Conferenza nazionale e di quelle locali.

Invero,il testo del Regolamento si compone di 9 articoli improntati al trattamento dei dati personali nell’ambito delle attività demandate ai Centri di Giustizia Riparativa istituiti con ìn DLvo n.150 del 2022.

Per quanto concerne la istituzione dei Centri  il Regolamento richiama,nelle note,la normativa del DLvo 150 senza nulla aggiungere a quanto in esso contenuto .

Occorre rivolgere attenzione sulle norme istitutive  contenute negli artt.li da .63 a 67 del citato Decreto.

Nel primo si enuncia “I Centri per la giustizia riparativa sono istituiti presso gli enti locali, individuati a norma del presente articolo.(…)

All’attuazione delle attività di cui al presente articolo le amministrazioni provvedono con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. La partecipazione alle attività della Conferenza locale per la giustizia riparativa non dà diritto a compensi, gettoni, emolumenti, indennità o rimborsi di spese di qualunque natura o comunque denominati.

Nel successivo articolo si stabilisce che “I Centri possono avvalersi di mediatori esperti dell’ente locale di riferimento.

Possono, altresì, dotarsi di mediatori esperti mediante la stipula di contratti di appalto ai sensi degli articoli 140 e ss. del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 ovvero avvalendosi di enti del terzo settore, individuati mediante procedura selettiva, stipulando con essi una convenzione ai sensi degli articoli 55 e 56 del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117”.

In ogni caso, il personale che svolge i programmi di giustizia riparativa deve possedere la qualifica di mediatore esperto ed essere inserito nell’elenco di cui all’articolo 60.

Infine,nell’art 67 si stabilisce che “Le Regioni e le Province autonome, le Città metropolitane, le Province, i Comuni e la Cassa delle Ammende, nel quadro delle rispettive politiche e competenze, possono concorrere, nei limiti delle risorse disponibili nell’ambito dei propri bilanci, al finanziamento dei programmi di giustizia riparativa”.

Da  tale impostazione si evince

a)una sorta di privatizzazione della Giustizia Riparativa affidata dagli Enti Locali alle Associazioni del Terzo Settore,senza indicare quali, dove dovrebbero svolgere la loro attività Mediatori Esperti formati ed inseriti negli Elenchi tenuti dal Ministero,che allo stato sono ancora in via di formazione.

b)la impossibilità di avviare in tempi ristretti le attività dei Centri istituiti sul Territorio privando gli imputati ma anche le malcapitate Vittime di usufruire delle attività previste.

c)la assoluta mancanza di gestire i Centri con l’obbligo previsto di trattare i dati personali  anche appartenenti alle categorie di cui agli articoli 9 e 10 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, strettamente necessari all’esercizio delle competenze e al raggiungimento degli scopi di cui al presente decreto, per le finalità di rilevante interesse pubblico di cui all’articolo 2 sexies, comma 2, lettera q) del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 e assumono la qualità di titolari del trattamento.

d) la materiale impossibilitò dei Mediatori Penali formandi a svolgere il Tirocinio presso i Centri mancando ancora gli stessi.

e) la mancanza di sufficienti garanzie per la sicurezza della Vittima

A parte le doglianze circa i tempi da considerare per le operazioni di Giustizia Riparativa,appare evidente come la scelta del Legislatore appaia quanto meno intempestiva rispetto alla facoltà dei soggetti coinvolti di ricorrere alla Giustizia Riparativa e, comunque, priva di sufficiente operatività e delle garanzie di riservatezza che essa richiede..

Si può dunque discutere, come ha fatto la dottrina, se fosse questa la sede più appropriata e gli obiettivi che la Giustizia Riparativa  si propone di raggiungere, in conformità con le altre finalità prese di mira dal decreto e cioè con «l’efficienza del processo penale» e soprattutto con la «celere definizione dei procedimenti giudiziari».

Benché la «Relazione illustrativa al decreto» affermi che tale scelta «concorre all’efficienza della giustizia penale in vario modo», è evidente che altri e di più ampio respiro sono i suoi obiettivi e che lo svolgimento dei programmi riparativi richiede un tempo adeguato di elaborazione, non del tutto compatibile con esigenze di celerità delle procedure

Nondimeno va riconosciuto che un impianto normativo ormai esiste con tutti i limiti innanzi evidenziati  ma  il suo effettivo radicamento dipenderà dalla reale volontà del Legislatore di garantire, anche sul piano strettamente organizzativo, l’attuazione in concreto della Giustizia Riparativa come alternativa al Giudizio Penale ed alla deflazione del carico esistente,nonostante buoni propositi. ..

Sin qui una norma destinata a suscitare ampi commenti ed interpretazioni.

Non va  sottaciuto,comunque, il ruolo marginale e non essenziale assegnato dalla norma  introdotta alla Vittima di Reato ai fini della decisione dell’A.G. di procedere ad  una  mediazione penale nell’ambito della lesione dei propri diritti ma ancor più che l’intero  procedimento è privo di parametri di riferimenti e di calcoli tabellari per stabilire nella   trattativa con l’imputato quali siano i margini di una qualche disponibilità ad una Giustizia veramente Riparativa e non pretesto per inutili quanto dolorose discussioni.

Mario Pavone

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