Quanto sono consapevoli gli europei, in generale, e gli italiani, in particolare, delle sfide determinate dal cambiamento climatico? E’ la domanda cui cerca di rispondere lo studio condotto da Maurizio Ferrera e finanziato da Lottomatica (CLICCA QUI). Quella che segue è l’introduzione della ricerca intitolata “Gli italiani e il mutamento climatico: un barometro eco-sociale”
Combattere il cambiamento climatico è un imperativo per il futuro dell’Europa e dell’intero pianeta. Nel 2019 il Green Deal ha impegnato la Ue a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Ciò implica ridurre il più possibile le emissioni inquinanti e compensare quelle eventualmente rimanenti, in modo da arrivare a un bilancio fra emissioni e compensazioni pari a zero. Solo il raggiungimento di questo obiettivo può consentire di neutralizzare l’effetto serra e le sue drammatiche conseguenze.
Il Green Deal comprende un’ampia gamma di misure: incentivi per tecnologie rispettose dell’ambiente, il sostegno all’innovazione, la promozione di forme di trasporto più pulite, la decarbonizzazione del settore energetico. La transizione “verde” toccherà ogni aspetto della vita quotidiana, dai muri e dalle finestre delle abitazioni agli elettrodomestici, dal modo in cui ci spostiamo all’alimentazione. Per questo il Green Deal è simbolicamente basato su un “patto europeo per il clima”, rivolto non solo a governi e imprese, ma a tutte le comunità, le organizzazioni della società civile, le famiglie e i cittadini. Solo se l’emergenza climatica e gli obiettivi del patto riusciranno a coinvolgere le singole persone e a cambiare alcuni loro orientamenti e comportamenti, sarà realmente possibile raggiungere gli obiettivi del Green Deal.
La transizione verso una società più sostenibile non sarà certo una passeggiata sul piano dei costi: finanziari, economici, sociali e politici. Mentre i benefici della transizione saranno di natura diffusa, ossia riguarderanno tutti (attenuazione degli effetti negativi legati al cambiamento climatico, meno inquinamento, mobilità sostenibile, accesso a una alimentazione più sana e così via), la maggior parte dei costi sarà invece concentrata su specifici settori produttivi, categorie sociali e territori (sostanzialmente, quelli dove è maggiore l’incidenza di mestieri e produzioni legate alle energie fossili) . Emergeranno dunque tensioni distributive non facili da gestire. Come ha mostrato la guerra in Ucraina, vi è anche il rischio di shock improvvisi (nel caso specifico, l’aumento del prezzo del gas) che possono causare ostacoli e ritardi nel percorso di adattamento.
Le conseguenze del mutamento climatico si fanno ormai sentire concretamente in tutte le regioni europee: siccità, inondazioni, frane, incendi e così via. La crescita improvvisa delle bollette e della benzina nella seconda metà del 2022 ha iniziato a incidere sulle tasche dei cittadini. L’annuncio di provvedimenti regolativi (messa fuori mercato delle auto a carburante fossile, riduzione delle emissioni da allevamento di bestiame ed efficientamento energetico degli edifici) ha già attivato varie forme di protesta. E il percorso è appena agli inizi. Non a caso gli studiosi prevedono l’emergenza di conflitti “eco-sociali” sempre più acuti come tratto distintivo della politica europea nei prossimi decenni.
Per affrontare al meglio questo insieme di sfide è indispensabile partire da alcuni dati di conoscenza, a cominciare dagli orientamenti dell’opinione pubblica. Il presente “Barometro” riporta i dati di un recente sondaggio effettuato in sette Paesi europei alla fine del 2022. Il questionario ha coperto i seguenti ambiti:
- la conoscenza dei cittadini circa il mutamento climatico e l’importanza ad esso attribuita;
- le preoccupazioni e i timori connessi alle conseguenze di questo fenomeno;
- le azioni “ecologicamente responsabili” che i cittadini hanno già intrapreso nella loro vita quotidiana;
- le loro preferenze circa le priorità dei governi e la distribuzione dei costi della transizione.
Come si vedrà, il quadro che emerge contiene luci e ombre. I cittadini dei sette Paesi (Italia compresa) sono adeguatamente informati circa l’emergenza climatica, la ritengono importante e questo giudizio si riflette in comportamenti quotidiani in linea con l’agenda “verde”. Emerge anche una paura diffusa rispetto all’impatto che tale emergenza può avere sulle condizioni di vita, dal posto di lavoro al reddito. Coerentemente, la maggioranza degli intervistati di ciascun Paese ritiene che l’obiettivo della sostenibilità ambientale vada previlegiato rispetto al tradizionale obiettivo della crescita economica tout court.
Le ombre che emergono dal sondaggio riguardano soprattutto i costi e i risvolti distributivi della transizione. Vi è una netta avversione alla riduzione del welfare esistente, pochi sembrano disposti a sacrifici in termini di standard di vita, se fosse necessario. Basso anche il favore ai sussidi per le imprese.
Come si è detto, la transizione verde non può essere un pasto gratis: a qualcosa si dovrà rinunciare. Se non si è disposti a rinunce (ad esempio, un po’ meno welfare o un po’ più tasse), la transizione rischia di non avvenire o di essere troppo lenta. Se messi alle strette e costretti in qualche modo a scegliere fra sostenibilità ambientale, crescita economica e protezione sociale, a quali obiettivi darebbero priorità gli italiani? Come vedremo, una certa parte di cittadini si dice a favore di una mediazione fra i tre. Si nota però anche una polarizzazione fra chi sostiene la coppia “ambiente e welfare”, anche a scapito della crescita, e chi invece la coppia “crescita e welfare”, anche a scapito della sostenibilità. Sembra esserci, in altre parole, il potenziale per una nuova linea di conflitto “eco-sociale”, come previsto dal dibattito fra studiosi.
Quanto è preoccupante questa prospettiva? E si può fare qualcosa per evitare o contenere il conflitto? Prima di rispondere a questi interrogativi è necessario analizzare bene i dati. Nelle prossime sezioni di questo rapporto presenteremo perciò le indicazioni più salienti emerse dal sondaggio.
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