Ci risiamo. Gli italiani, ancora una volta, sono chiamati a difendere la Costituzione dall’aggressione che le viene inferta dalla classe politica. Non sembri una semplificazione, né valga ad attenuarne la responsabilità la tardiva conversione di alcuni rappresentanti politici, ma l’intera armata partitica ha dato prova inconfutabile di preferire la pulsione populista alla missione democratica affidatale.
Conosciamo la storia. I partiti, alcuni originariamente vocati a minare la democrazia, avendo proposto nella loro piattaforma politica una visione immiserita della partecipazione popolare che, al contrario, ne è cardine fondamentale, altri accodatisi per evidentissime ragioni di apparente convenienza elettoralistica (avendo ritenuto che l’antiparlamentarismo paghi maggiori profitti rispetto ad una nitida azione democratica di revisione dei comportamenti dei partiti e del loro personale) hanno approfittato della democrazia approvando la legge costituzionale sul taglio dei parlamentari, alzando così una ennesima cortina di fumo rispetto al tema centrale della riforma dei partiti.
Centinaia e centinaia di prese di posizione sul si e sul no, tutte legittime, quelle sul si, vistosamente ingenue nel proporre il taglio dei parlamentari come la medicina per guarire gli elettori dell’opinione pubblica dalla malattia del distanziamento tra sé stessi e le istituzioni; quelle sul no, attestate, per doveroso esercizio del contraddittorio, a dimostrare che il taglio dei parlamentari, il taglio lineare della rappresentanza, mutila la rappresentanza stessa e non produce nessuno degli effetti annunciati, compreso quello del risparmio.
Il vortice, apparentemente partecipativo, delle parole spese prima e dopo la riforma e in questa scombiccherata campagna referendaria (poveri costituenti che avevano assegnato al referendum l’autentica funzione di chiusura del sistema democratico, non avendo immaginato che lo avrebbero messo in mano di una comunicazione senza controlli democratici e di un personale politico vocazione populista) ha offuscato la verità.
A stare attenti, tuttavia, la verità si trova sempre. In questa occasione l’ha pronunciata, fra gli altri, il professor Gaetano Silvestri, Presidente dell’Associazione italiana dei costituzionalisti. L’ha pronunciata, ovviamente, a titolo personale e le ha dato due concrete rappresentazioni: la prima, che il taglio dei parlamentari serve “pulsioni profonde contro la rappresentanza democratica”; la seconda, che “il vero problema non è la Costituzione, ma il sistema dei partiti”, che “la vera riforma urgente è quella che investe la democrazia interna dei partiti e dei movimenti politici”.
Questo è il punto. Noi dobbiamo sentirci impegnati in una riforma dei partiti. Come? Costituendoci in un partito! Se qualcuno dovesse ritenerla un’ingenuità, dobbiamo essere in grado di accettare la sua sfida per dimostrare che un nuovo assetto della rappresentanza politica in un partito che si dia regole, comportamenti, uomini e obblighi di rispetto della Costituzione può rappresentare la vera, ed io aggiungo unica, riforma del sistema democratico del nostro Paese.
Il resto è nient’altro che un’infernale trappola del chiacchiericcio istituzionale.
Per non cadere in questa trappola, porto, alla fine, due considerazioni. La prima: il Parlamento è l’unico strumento di partecipazione popolare dotato di regole trasparenti e democratiche. Mediante il parlamento, ove non fosse infestato da pulsioni antidemocratiche, il popolo può esercitare il controllo sui poteri, quelli che non hanno una vocazione democratica e non si assoggettano volentieri al controllo democratico. Dunque, il parlamento va misurato nella sua efficienza sulla base della capacità di controllare, nel cosiddetto sistema dei pesi e contrappesi, che sia materialmente conseguito l’interesse generale. Per questo ha bisogno di personale adeguato, politico e tecnico, in un numero che non è difficile quantificare in relazione alla complessità dei compiti affidatigli. È vero, purtroppo, che l’esercizio del controllo parlamentare è finito in cattive mani, quelle dei partiti che soffrono di pulsioni antidemocratiche e, con ogni mezzo, tentano di soffocare chi voglia cambiare le cose, per davvero nell’interesse generale.
La seconda: il Parlamento è davvero la casa degli italiani. Loro devono essere messi nella condizione di entrarvi ed uscirne per svolgere il ruolo di controllo partecipativo disegnato dalla Costituzione.
Ed invece, i partiti li tengono fuori gli italiani, sollecitandoli con la facile e micidiale tecnica della demagogia a partecipare soltanto a procedure contro il loro interesse. Neppure ci accorgiamo più che l’interesse generale è diventato un ospite indesiderato nelle istituzioni democratiche. Semplicemente, è stato espulso. Così gli interessi particolari sono diventati i protagonisti delle tavole non democratiche nelle quali si assumono decisioni sulle quali i destinatari nel paese, cioè gli italiani cui è riconosciuta dalla Costituzione la funzione della sovranità popolare, non hanno nessuna possibilità di incidere. Questa, amici, la si esercita con la rappresentanza.
Il NO ci difende. Però, un attimo dopo, lavoriamo alla costituzione di un partito che serva tutti gli italiani e la stessa Costituzione.
Alessandro Diotallevi