All’inizio di febbraio Margaret Karram (Israele, Haifa, 1962) è diventata presidente del movimento dei Focolari, fondato nel 1943 da una italiana trentina (Chiara Lubich) e la cui prima successione era stata con un’altra italiana (Maria Voce). Il movimento è oggi presente in 182 Paesi e ne fanno parte due milioni di persone. Margaret Karram è, si legge, una araba cristiana, laureata in ebraismo a Los Angeles, una palestinese dentro lo Stato di Israele.
Due settimane dopo ( lunedi 15 febbraio) – anche grazie a un cambiamento di posizione di Biden rispetto a Trump -è stata nominata Direttore generale del WTO (l’Organizzazione del commercio mondiale, un’istituzione fondamentale della globalizzazione) Ngozi Okonjo-Iweala, nigeriana di nascita (1954), ma con lauree americane e 25 anni in Banca mondiale, un marito neurochirurgo e quattro figli. Ngozi però ha fatto molto anche nel suo paese e per il suo paese, del quale è stata per due volte ministro delle Finanze, combattendo la corruzione e scontrandosi con lo strapotere dei petrolieri.
Nei Focolari la presidente è donna per Statuto. Nel WTO Ngozi Okonjo-Iweala è il primo Direttore generale donna, oltre che il primo africano. Segni dei tempi anche questi.
Si parla di solito della globalizzazione, bene o male, pensando solo alla dimensione commerciale e finanziaria.
Qualcuno considera la globalizzazione come ostile. E’ criticata a ragione la pervasività del paradigma tecnocratico (ricordiamo la critica svolta nella Laudato si’). Il valore che si forma in lunghe catene internazionali o intercontinentali evade dalla “governabilità” degli Stati nazionali e spesso delle stesse istituzioni intergovernative. La crisi del 2008 ha mostrato che il gigante ha i piedi di argilla, non si lascia correggere facilmente, a volte gattopardeggia, ma si rialza rapidamente.
Nella globalizzazione rientra il problema delle megaimprese, motori di ricchezza, che facilmente eludono l’imposizione fiscale e che ne impongono la riorganizzazione. Che i proprietari dei social si sostituiscano agli Stati nel disciplinare la libertà di espressione e nel censurarne gli abusi (come per i tweet di Trump) è un fenomeno insorgente, che reclama con urgenza l’istituzione di authorities planetarie a legittimazione democratica.
Nella Pandemia poi ci siamo accorti che anche i virus si avvantaggiano dell’abbondanza di reti di trasporto e della loro rapidità. E così quando temiamo che possano mettersi in viaggio per venirci a trovare, erano già tra noi.
Qualche moderazione della globalizzazione ci sarà. Qualche dispositivo medico e qualche vaccino, ogni paese dovrà provvedersene senza dipendere solo dall’estero. Certe tecnologie dovranno essere più distribuite nel mondo. Inoltre capiremo che siamo in ritardo nell’integrare in modo effettivo questi compiti nella missione della UE.
Cerchiamo di migliorare la globalizzazione, perché non verrà meno, e noi non sapremmo farne a meno.
Oltre che la globalizzazione dei beni e servizi, della finanza e delle armi, c’è quella dei passeggeri. Ma non solo il turismo. E non solo i migranti. C’è la globalizzazione degli studi, della ricerca, della editoria. C’è insomma anche la globalizzazione delle opportunità per le persone.
Senza di essa sarebbe semplicemente inverosimile che due ragazze nate una palestinese e una nigeriana studiassero ad alti livelli, imparassero altre lingue, acquisissero conoscenze e relazioni, affinassero responsabilità matura e soprattutto che tutto questo venisse riconosciuto sulla scena mondiale.
La globalizzazione deve migliorare, non regredire. Viviamo in un mondo pieno di guai, ma quanto è interessante il mondo in cui viviamo!
Vincenzo Mannino