Trump ha perso, è stato spazzato via. Joe Biden è il nuovo presidente, Trump ha tenuto più del previsto. Probabilmente Trump ha perso ma potrebbe anche vincere.
Questo in sintesi quanto rimbalzava su gran parte dei media italiani. Riconosciamolo “The Donald” è un personaggio unico: controverso, eccessivo, razzista, indelicato, inopportuno e importuno ma mai prevedibile. Trump è stata la scheggia impazzita partorita dalla più longeva repubblica del mondo occidentale. Qualsiasi cosa succeda, rielezione o meno, ringrazierò a vita gli Americani per aver votato un simile soggetto.
Trump ha vinto nel 2016 contro ogni previsione e, da buon repubblicano guerrafondaio ha avviato ben… 0 conflitti.
Non pago di questo risultato ha alzato la posta: ha riconosciuto Gerusalemme capitale d’Israele contro tutti e contro tutto: risultato? Qualche reprimenda e, alcuni mesi dopo, ecco che i paesi arabi si avviano verso una normalizzazione dei rapporti con lo stato ebraico. Chiunque altro avesse favorito un simile evento sarebbe stato celebrato quantomeno col Nobel per la pace. Lui no. Per tutti lui ha incendiato il Medio Oriente. Ci ha provato eh, sia chiaro. Quei missili a tradimento su un generale iraniano a inizio anno potevano essere più destabilizzanti e invece nulla. Poi la pandemia globale e fine dei giochi. Trump se ne andrà senza aver iniziato neanche una guerricciola.
Trump è così: dice una cosa e fa l’esatto opposto, lancia strali su Twitter e poi smentisce coi fatti, minaccia di guerra atomica Pyongyang e dopo poco eccolo: primo presidente USA a entrare in Corea del Nord per incontrare il “Caro leader”. In guerra col mondo The Donald cambia i suoi collaboratori più frequentemente di quanto non faccia Preziosi con i suoi allenatori. Non si stanca mai di “spararle grosse”, twitta compulsivamente: quando va bene lo fa con la delicatezza di un bulldozer e se invece “gli dice male” … beh apriti cielo.
Un tizio così doveva per forza andare a casa, cacciato a pomodori e male parole, doveva essere sommesso dall’onda blu dei Dem e invece eccoci qui ad osservare una lotta a coltello che finirà a ricorsi e contestazioni con gli Usa spaccati in due, esattamente come 160 anni fa. I cronisti parlano di un presidente divisivo, causa delle fratture ma, forse, si sta confondendo la causa con l’effetto. Se Trump fosse il sintomo e non la causa del caos americano? Riflettiamo.
Si prendano due cartine una riferita agli USA nel 1860 e una riferita all’orientamento elettorale uscito da queste elezioni: sono molto simili, quasi sovrapponibili. Gli unionisti nell’est e nell’ovest al sud e al centro i confederati. Oggi la mappa è quasi uguale: democratici in trionfo sulle due coste e repubblicani saldamente attestati nell’America profonda e rurale del Midwest e del sud. Se si guarda all’economia i parallelismi si rincorrono: produzioni industriali (allora avanguardia del progresso) negli stati unionisti ed economia agricola-tradizionale appannaggio dei confederati. Oggi abbiamo industrie Hi-Tec e Digital economy sulle coste e produzioni industriali e agricole prevalenti negli stati centrali. Un caso? Forse. Però anche i temi su cui ci si contrappone sono gli stessi di allora: questioni razziali, visione religiosa della vita ed indirizzi di sviluppo più focalizzati su innovazione o tradizione.
Insomma sono passati 160 anni e le divisioni sembrano ancora quelle del XIX secolo: com’è possibile? Siamo sicuri che il trauma della guerra civile sia stato superato? Il dubbio viene.
Se la riconciliazione nazionale fosse stata solo un abbaglio durato 100 anni? Dopotutto la conquista del West e il benessere conosciuto nel XX secolo possono ben aver contribuito a sopire le tensioni che, puntuali, si sono ripresentate quando l’America si è scoperta vulnerabile. Dopo la Guerra fredda la superpotenza ha “perso la bussola” non è riuscita ad essere guida mondiale, ha conosciuto una crisi economica inopinata e al contempo ha provato a cambiare i suoi valori fondanti senza riuscirvi. Il tentativo di sostituire il “Sogno americano” col pluralismo esasperato non ha funzionato: l’America si è spaccata tra Suprematisti, Black Lives Matter, Lgbt, tradizionalisti ecc. quelle che erano differenze di vedute stanno organizzandosi in ideologie che si radicano e si organizzano nella società scoprendo così di esistere e di essere inconciliabili tra loro. Ecco quindi che 160 anni dopo la cartina degli Stati Uniti assomiglia nuovamente a quella raffigurante quel famoso 1861, ecco quindi che tornano a sfilare i cappucci bianchi del KKK o le bandiere confederate e che, ancora una volta, il colore della pelle e il razzismo diventano pretesto per fronteggiarsi. Ovviamente non pronostico una riedizione della guerra civile ma non posso fare a meno di notare come, ancora una volta, la questione razziale è usata come paravento per lo scontro tra gruppi di potere contrapposti: da un lato la new economy, dall’altra l’economia tradizionale. Ecco quindi che, in quest’ottica, Trump è meno “marziano”, si capisce perché sia stato eletto e come mai l’onda liberal che doveva spazzarlo via non c’è stata.
Trump è la reazione ad Obama, la conseguenza della “violenza” fatta dall’America del progressismo a quella tradizionalista, quando ci si è dimenticati delle istanze dell’industria produttiva e della middle class, quando si è pensato che le istanze sociali potessero essere superate con istanze “civili”. Il Midwest e il sud erano in rivolta 4 anni fa e lo sono tutt’ora non contro il presidente ma contro quello che è percepito, magari nemmeno razionalmente, come un tentativo di marginalizzazione e di conquista culturale. Alla stessa maniera il popolo confederato non vide nell’abolizionismo un progresso umano ma solo un attacco strumentale al suo modo di vivere e un’arma per colpire i latifondisti ed estrometterli dal potere politico lasciandolo in mano agli industriali della East Coast.
In considerazione di ciò possiamo, forse, dire “goodbye mr Trump” ma essere sicuri che il trumpismo sopravviverà al Tycoon e si ripresenterà, puntuale, tra 4 anni a meno che non si proceda a eliminarne le cause.
Mattia Molteni