La Democrazia Cristiana non seppe essere alternativa a sé stessa, come, a suo tempo, aveva invocato il Presidente Moro. La conseguenza fu l’implosione che ne decretò la scomparsa. Avvenne nel lontano 1994. Quasi trent’ anni fa.
Un arco temporale lungo quasi quanto la stagione migliore della sua permanenza al potere, segnata da scelte ed indirizzi che sono stati, e permangono tuttora, basilari conquiste e fondamento della convivenza civile e democratica dell’Italia.

Determinazioni ferme, allora fieramente contrastate dall’opposizione comunista – valga per tutte la scelta atlantica, ma anche l’indirizzo europeista convinto – che hanno finito per essere fatte proprie da chi le combatté aspramente.
Linee ed orientamenti – a cominciare dall’indirizzo impresso dai costituenti cattolici alla nostra Carta – entro cui tuttora si sviluppa la vita democratica ed istituzionale del Paese, a testimonianza della visione di alto profilo che la Democrazia Cristiana seppe coltivare. Eppure era necessario che sapesse essere alternativa e così non avvenne.

Essere alternativi a sé stessi non significa, in alcun modo, dimenticare o sovvertire i propri valori di fondo e la sorgente morale ed ideale da cui emanano. Vuol dire, piuttosto, saper guardare oltre le colonne d’Ercole del proprio tempo e conservare la freschezza di uno sguardo che sappia “trascendere” l’immanenza del momento, sia in grado di andare oltre e scorgere i primi segni di una nuova alba, di una stagione che si annuncia nel segno di un possibile arricchimento di valore umano.

Aldo Moro, fin dagli anni della contestazione giovanile del ’68, vide sorgere questo mondo “alternativo”, ancora nebuloso, confuso anche agli occhi dei giovani che ne vivevano l’avventura, eppure ricco di una passione che andava chiarificata, mosso da una intuizione, scosso da un sentimento che rischiava di assumere, in carenza di un nuovo linguaggio, come proprio esclusivo canale espressivo, la “moda”, allora ancora imperante, dell’ideologia marxista. La DC era il partito del potere costituito, il partito-Stato, quindi, di per sé, avrebbe dovuto essere – e come tale la leggevano quei giovani d’allora – la più patente contraddizione a quel fermento di novità. Come poteva pensare il Presidente Moro, che, in quel mondo era immerso, che proprio la Democrazia Cristiana potesse e, dunque, dovesse dar corpo a quell’istanza globale di una vita nuova ? Oggi come giudicherebbe il lungo decorso temporale che ci separa da quegli anni e non penserebbe o, forse, che non avendone intesa la provocazione, non avendo saputo “discernere” quel tempo, avendo rinunciato a pensarlo politicamente così da poterlo guidare, ne abbiamo fatto un’occasione, una possibile rivoluzione perduta di cui tuttora paghiamo le conseguenze?

Aldo Moro sapeva che la Democrazia Cristiana – diversamente dal Partito Comunista – non era una forza ideologica, bensì fondata su valori, incardinata su categorie di giudizio e criteri cui l’ “ispirazione cristiana” assicurava una straordinaria attitudine a comprendere ed interpretare l’evoluzione del tempo, esattamente nella misura in cui la ricomprendeva entro un perimetro di principi capaci di trascendere le contingenze della storia. L’ ideologia, qualunque ideologia è sempre, di per sé, necessariamente portatrice di un pensiero rigido ed ossificato. E’ fondata su una concezione banale e fuorviante della storia, nella misura in cui pretende di averne distillato la ragione ultima, quella legge sovrana ed esaustiva che ne darebbe integralmente ragione, a tal punto da poterne derivare deduttivamente ogni ulteriore sviluppo. E’ tributaria, sul piano collettivo, dello stesso tragico errore con cui l’individualismo, ancora oggi imperante, pensa l’uomo intrappolato nella sua olimpica autosufficienza, prigioniero di sé stesso.

Non a caso, le ideologie appaiono trionfanti ed intangibili fino al giorno in cui cedono di schianto, senonché chi ha interiorizzato una postura ideologica non ha, a quel punto, altra chance se non sostituire alla vecchia, una nuova ideologia, ma pur sempre restando dentro lo stesso abito mentale. Quel che è successo alla sinistra italiana. Caduto ineluttabilmente il verbo marxista, ha smarrito ogni consapevolezza di sé ed altro non sa immaginare se non l’approdo ad un altro schema, pur sempre ideologico, questa volta di stampo “radicale”, per quanto dissonante dalla sua antica vocazione autenticamente popolare, che ne rappresentava la effettiva ricchezza. Si tratta di una legge cogente, che, non a caso, si afferma a dispetto dell’importante complemento offerto a tale schieramento dai “popolari” di area cattolica, che, anzi vengono assorbiti da tale logica, fino a farla propria. A quando un moto d’orgoglio e di riscatto della propria autonomia?

Al contrario, l’ispirazione cristiana, la concezione dell’uomo e della vita che ne deriva rifuggono da una visione “idealista” che risolve la vicenda storica nella logica di un pensiero astratto, a favore di un “realismo” che ne ammette e ne sa cogliere gli elementi di novità subentrante e di creatività perenne nel segno di un costante, possibile arricchimento di essere e di umanità.

L’antropologia cristiana esige un sistema “aperto”, capace di un contatto vivo con la realtà concreta e vissuta di ognuno, così da apprendere induttivamente dallo stesso accadere e via via aggiornare le categorie interpretative ed i criteri di giudizio con cui inoltrarsi nella successione degli eventi. Insomma, riconosce come la realtà sia sempre più ricca ed ecceda i labirinti concettuali in cui cerchiamo, più o meno forzosamente, di catturarla. Non si esaurisce mai nella fattualità dell’istante, che pure, ad un tempo, ne vela e ne svela, la ricchezza incomparabile. Non può mai essere sistemata a dovere, una volta per tutte, a nostro piacimento.

La sfida per tutti – credenti e non credenti, ma forse tale da impegnare anzitutto la coscienza di chi ha ricevuto il dono della fede – è di comprendere come, pur nello scorrere quotidiano delle cose, anche quando questo avviene per lo più secondo una cadenza prevedibile e scontata, la realtà sia abitata, per più elementi, dal nostro futuro.
Bisogna sapervi scorgere quel tanto di profezia che reca in sé, quell’annuncio di cose nuove che nasconde nelle pieghe della sua ricchezza inesauribile. E’ una scommessa su cui anche la politica deve saper giocare la sua credibilità.

Le sfide del nostro tempo, ultima e non ultima la pandemia, ma, ancor prima, le migrazioni, la crisi ambientale, la provocazione etica della scienza e delle biotecnologie, la crescita esponenziale della comunicazione, la contrazione dello spazio e del tempo connessa alla globalizzazione, collocano i nostri giorni su un crinale tale per cui spetta alle nostre generazioni giocare una partita forse decisiva per un lungo, lunghissimo tratto della vicenda umana di domani. Per questo, anche la politica non può fare a meno di abbeverarsi ad una sapiente ispirazione cristiana, per quanto sia arduo transitare da una mera petizione di principio ad una trama programmatica che sia fondata e rispettosa di una lettura appropriata del tempo che ci è dato vivere.

Se Sturzo prima di intraprendere il suo cammino si fosse messo ad almanaccare quali e quante fossero le chances di successo elettorale, il Partito Popolare non sarebbe mai nato. Qualche volta ci vuole il coraggio di gettare il cuore oltre l’ostacolo, piuttosto che restare acquattati dentro le casematte di culture che non ci appartengono, nella beata illusione di addomesticarne gli spiriti avversi. L’ esperienza dimostra che succede piuttosto il contrario. Non si tratta di convertire nessuno, né di fare proseliti in campi altrui. Tanto meno di cristianizzare la società “ope legis”.
Si tratta piuttosto di accettare la fatica improba di tradurre – non sarà mai detto abbastanza – i criteri di giudizio che abbiamo ricevuto gratuitamente in dono, in uno con la fede, secondo un linguaggio che ne mostri la ricchezza umana e le potenzialità, anche sul piano della convivenza civile, così da renderli appetibili anche per chi risponde a criteri di fondo che attengono culture diverse dalla nostra.

E’ lecito provarci? E’ doveroso correre il rischio di questa scommessa? Non è forse oggi il momento di osare piuttosto che attorcigliarsi in argomenti che portano laddove pregiudizialmente si è scelto di stare, soprattutto i cattolici che guardano a sinistra e ancora non ammettono che il PD è il partito che, come tale, non è mai nato, né poteva, se non attestarsi come mero aggregato elettorale?

Domenico Galbiati

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