Alla metà di Settembre il premier israeliano Netanyahu sembrava favorevole ad avviare una operazione su larga scala nel Libano meridionale al fine di colpire le infrastrutture di Hezbollah. Sull’area venivano lanciati dei volantini per avvisare la popolazione dell’imminente attacco. Quello che sarebbe successo restava da vedere, ma intanto si dava inizio a quella che potrebbe definirsi una guerra psicologica e di comunicazione.
Mentre il Segretario di Stato americano Blinken era al Cairo per cercare di riavviare i negoziati, il premier israeliano prendeva in considerazione l’ipotesi di rimuovere il ministro della Difesa Yoav Gallant col quale era spesso in contrasto. I disaccordi vertevano attualmente sul desiderio di Netanyahu di far rientrare nelle loro case e far riprendere le attività agli sfollati della frontiera col Libano. Per realizzare questo suo piano suggeriva di intraprendere un’operazione nel Libano meridionale con l’obbiettivo di neutralizzare Hezbollah.
Benny Gantz, che precedentemente sedeva nel Gabinetto di guerra, interveniva dichiarandosi contrario a questa decisione non considerando prudente sostituire un ministro della Difesa a conflitto in corso.
Uno strano attentato: Come un fulmine a ciel sereno piombava la notizia di una singolare offensiva ai danni del movimento sciita libanese. L’arma: una spedizione di dispositivi cerca persone ordinati dallo stesso Hezbollah. Intorno alle 15:30 esplodevano simultaneamente uccidendo 37 persone e ferendone intorno alle 4.000, 200 delle quali in modo piuttosto grave. In Siria vi erano stati 14 feriti ed anche se non gravemente, è stato colpito l’ambasciatore in Libano.
Questa serie di esplosioni hanno visto coinvolte tre aree del paese nel quale più forte è la presenza sciita: la zona sud di Beirut, la valle della Bekaa e la parte meridionale del Libano in prossimità della frontiera con Israele. Il colpo è stato duro in quanto ha centrato sia il ramo politico che quello militare di Hezbollah, quasi tutti di età compresa tra i 20 e i 40 anni. Quasi tutti sono stati colpiti al volto, agli occhi, alle mani, all’addome e alla cintura.
A rendere questa operazione ancora più efficace è che si sia svolta alla luce del sole e quasi sempre in luoghi pubblici come mercati, strade, negozi e bar. L’effetto è stato così ancora più dirompente, in quanto numerosissime sono state le persone che hanno potuto essere testimoni dell’accaduto.
Hezbollah ha subito puntato il dito contro Israele, che però non si è espresso come capita sempre nel caso di operazioni particolari svolte all’estero per evitare imbarazzi diplomatici. Ha ordinato un’inchiesta per meglio capire la dinamica dei fatti. La prima cosa a venire in mente è che un’operazione di questo tipo non poteva che essere stata organizzata da tempo. Simili cose non vengono ideate all’istante.
Secondo le prime impressioni, Israele avrebbe intercettato una partita di 5.000 cerca persone destinata ad Hezbollah e li avrebbe manomessi. Meno probabile che l’intervento sia stato eseguito direttamente all’interno dello stabilimento di produzione nel corso dell’assemblaggio. La ditta produttrice sarebbe la Apollo Gold di Taiwan che però smentisce, affermando che a produrli sarebbe una sua associata ungherese, la Bac. Da Budapest negano.
Quando degli investigatori si sono recati di fronte alla sede della Bac, hanno trovato tutti gli uffici vuoti e saputo di un impiegato che però non si vedeva mai. A sua volta la Bac aveva puntato il dito contro una società bulgara, la Norta Global. In questo caso anche, uffici vuoti e nessun personale.
Cosa spiega l’utilizzo da parte di Hezbollah di questi dispositivi? Avevano il vantaggio di essere una tecnologia datata la cui funzione non era altro che trasmettere o ricevere messaggi. Erano dunque meno suscettibili di manomissione rispetto ai ben più recenti smartphone, molto più facili da tenere sotto controllo e intercettare. Basti ricordare il recente attentato che ha ucciso a Tehran Ismail Haniyeh, localizzato grazie al suo cellulare.
Gli Stati Uniti hanno subito avvisato di non essere stati avvertiti e di non saperne nulla. Hanno poi esortato l’Iran a non rispondere ed astenersi da azioni tali da aggravare la situazione. Al telefono il presidente Biden chiedeva a Netanyahu di non continuare ad incrementare la tensione e creare ulteriore instabilità. Tehran condannava l’attacco terroristico ed inviava d’urgenza una squadra di 12 medici annunciando anche di mettere a disposizione i suoi ospedali per accogliere i feriti.
Hamas si è precipitato a denunciare il fatto come un aggressione terrorista da parte sionista. Hezbollah invece prometteva ad Israele una giusta ed adeguata risposta facendo anche sapere che più che l’annuncio di un immediato attacco quest’operazione andava letta come un avvertimento.
Comunque la si pensi, l’ingerenza nella catena di produzione di questi dispositivi poteva essere fatta solo da Israele. Il Mossad aveva intensificato i suoi omicidi mirati dopo il 1972, a seguito del attentato alle Olimpiadi di Monaco. Il suo bersaglio erano gli uomini dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Riguardo le uccisioni a distanza, aveva già raggiunto una buona capacità dopo la morte tramite cellulare di Mahmoud Hamshari, rappresentante dell’Olp a Parigi. Più tardi, la stessa efficacia si era potuta vedere a Gaza con l’omicidio tramite un cellulare Motorola di Yahya Ayyesh, fabbricante di bombe per Hamas.
Una seconda sorpresa: Era appena passato un giorno da questi attentati esplosivi che giungeva la notizia che ad esplodere erano adesso delle ricetrasmittenti sempre in mano a militanti di Hezbollah. Hanno tutti cominciato ad esplodere più o meno simultaneamente. Dalle prime notizie le vittime sarebbero 14 ed i feriti 450.
Questi attacchi sono avvenuti sia nei quartieri meridionali di Beirut che nell’est e nel sud del Paese in aree a forte presenza sciita. Una delle esplosioni si è verificata persino nel corso di una cerimonia funebre per commemorare una delle vittime dell’attacco precedente. Anche in questo caso si è voluto creare tra i ranghi di Hezbollah paura ed incertezza. Questa stessa psicosi si è diffusa tra la popolazione che aveva oramai la sensazione, se non il timore, di potersi aspettare di tutto, in qualsiasi momento ed in ogni luogo.
Aspetti psicologici a parte, questo è servito a disorganizzare e gettare scompiglio in buona parte della rete di comunicazione di Hezbollah. Decapitando questo sistema e mettendo fuori combattimento dal 10 al 20% dei suoi militanti, si è voluto menomarne anche la capacità di agire e di combattere: il messaggio non poteva essere più chiaro, né poteva meglio diffondersi.
Le reazioni non si sono fatte attendere e mentre Hezbollah comunicava che malgrado gli attacchi non avrebbe rinunciato ad appoggiare Hamas a Gaza, il suo capo Hassan Nasrallah attribuiva la responsabilità degli attentati ad Israele facendo poi sapere che sarebbe arrivata la giusta punizione.
Sempre più preoccupato, il governo libanese sosteneva un allargamento del conflitto. Dall’Iran il presidente Pezeshkian denunciava l’accaduto come “una vergogna per l’Occidente”. Un’altra fonte accusava Israele di “un uccisione di massa”. Da Washington si negava di saperne qualcosa e di esserne coinvolti. Il Segretario di Stato Blinken, che aveva dichiarato di non fermarsi in Israele dopo essere stato al Cairo, preferiva esprimersi dicendo che un cessate il fuoco sarebbe stata la via migliore per assicurare la stabilità nella regione.
Con tono paternalistico, giungeva dalle Nazioni Unite l’avviso che non si devono trasformare in armi oggetti di uso civile. Tanto per cambiare, l’Unione Europea condannava questa serie di attacchi avvenuti questa volta tramite strumenti di comunicazione. Mosca denunciava un aumento della tensione in una zona già di per sé esplosiva. Ancora dall’Onu l’avviso che i responsabili di queste esplosioni dovranno renderne conto. Approfittando di questa occasione, l’Assemblea Generale chiedeva la fine dell’occupazione israeliana di tutti i territori palestinesi. Come se ciò non bastasse, l’annuncio di una riunione dei ministri degli Esteri di Francia, Gran Bretagna, Germania ed Italia.
E Gerusalemme? Le autorità israeliane informavano che avrebbero potuto imprimere una nuova direzione al conflitto mirando al Libano. Parte delle truppe attualmente impegnate nella Striscia di Gaza avrebbero potuto essere ridispiegate alla frontiera nord del paese. A farla breve, uno spostamento del centro di gravità delle operazioni verso i confini settentrionali. A rendere più plausibili e completare queste affermazioni, l’annuncio del premier Netanyahu che diceva aver ascoltato l’appello degli sfollati alla frontiera garantendo loro un ritorno in piena sicurezza nelle zone che erano stati costretti ad abbandonare.
Le attuali condizioni di Hezbollah: Queste successive operazioni avvenute nel brevissimo spazio di due giorni avevano non solo indebolito le capacità offensive di Hezbollah, ma ne avevano anche messo fuori uso le linee di controllo e di comunicazione. Se a questo si aggiunge che nel corso di 11 mesi di conflitto sono state distrutte non poche sue installazioni con tanto di armi disponibili, Israele si sente più sicuro nelle sue capacità di iniziare operazioni di più vasta portata per costringere Hezbollah a riposizionarsi oltre la linea costituita dal fiume Litani.
Dall’inizio degli scontri Hezbollah ha cercato di mantenere un delicato equilibrio tra azione e reazione, ma fino a che punto potrà permettersi di subire un’umiliazione dopo l’altra? E’ stato più volte colpito e ridicolizzato e messe a nudo le sue debolezze. Era riuscito a costruirsi una reputazione e legittimarsi mostrando di essere in grado di potersi battere contro Israele e resistere alle sue Forze armate.
Questo colpo è stato indubbiamente duro e gli ha inferto profonde ferite non solo dal punto di vista fisico, ma anche psicologico. Le vittime sono state numerose e si sono visti aerei carichi di feriti alzarsi in volo in direzione di Tehran per dar loro cure d’emergenza. Il movimento sciita dovrà affrontare il difficile compito di riorganizzarsi e, soprattutto, ricostruire per intero le sue reti di comunicazione al momento ampiamente compromesse. Questo compito non potrà che scompaginare le sue reti, rendendone più difficile il coordinarsi e l’agire.
Entrambi questi episodi hanno evidenziato sostanziali falle nei suoi servizi di sicurezza e in quelli di informazione. In conclusione, Hezbollah avrà non poche difficoltà ad operare con successo in campo tecnologico essendogli impossibile rivaleggiare con gli israeliani. Più a suo agio invece si sente sul terreno. Grazie all’Iran continua a ricevere equipaggiamenti militari e per via del conflitto civile in Siria, che ormai va avanti da quasi 15 anni, ha anche avuto l’opportunità di raggiungere un alto livello di addestramento sul campo. Cosa seguirà è ora tutto da vedere.
Il discorso di Nasrallah: Nella giornata di Giovedì 19 Settembre si è potuto finalmente ascoltare l’atteso discorso del leader di Hezbollah. Al contrario di ciò che si sarebbe potuto aspettare, non è stato un intervento infuocato e virulento quanto piuttosto pacato e privo di dramma e toni minacciosi. Si è espresso in modo misurato perché consapevole che le circostanze non gli consentivano di fare altrimenti.
Senza nascondere nulla, ha ammesso di aver subito un colpo duro sia sul piano della sicurezza che a livello umano. Con i suoi attentati tuttavia, Israele ha oltrepassato ogni legge ed ogni linea rossa. Evocando un inedito massacro ha proseguito sottolineato come sia stata violata ogni regola di ingaggio e che il suo movimento non si piegherà, né rinuncerà ad agire. La punizione sarà inevitabile.
Di queste sue parole, la parte di maggior rilievo è stata la dichiarazione che non cesseranno le azioni di Hezbollah e che non vi sarà calma sul fronte libanese fino a che non si sarebbe conclusa la guerra di Gaza. Ha poi aggiunto che Israele non potrà far tornare i coloni che hanno dovuto abbandonare il nord del paese.
Da notare in questo discorso l’uso del termine coloni. Se gli abitanti del Nord di Israele sono tali, ciò significa che Nasrallah non riconosce la legittimità dello Stato Ebraico, ne rifiuta l’esistenza e considera i suoi cittadini come usurpatori di territori non loro.
In sintesi, Hezbollah giura vendetta e dichiara che il fronte libanese rimarrà attivo fino alla conclusione della guerra nella Striscia e che gli abitanti al confine col paese dei Cedri non potranno rientrare nelle loro case. La palla adesso ad Israele.
Le preoccupazioni dei libanesi: Se le Nazioni Unite sono preoccupate, con questo ingresso della guerra nella vita quotidiana ancora di più lo sono i libanesi nei quali serpeggia un senso di forte inquietudine. Già piuttosto provata dagli eventi di questi ultimi anni, dall’esplosione del porto di Beirut fino alla gravissima crisi economica, la popolazione si sente presa tra due fuochi, intrappolata, coinvolta in giochi che non la riguardano e preoccupata dalle continue difficoltà quotidiane che attanagliano il Libano.
C’è chi dice apertamente di non fidarsi più dei cellulari e delle batterie al litio: con il fatto che molte di queste apparecchiature elettroniche siano scoppiate in mezzo alla gente, per strada, nei mercati, nei negozi o nei bar, i libanesi non si sentono più sicuri e temono non vi siano più regole. Molti evitano di recarsi in luoghi troppo affollati e lontani da casa.
A sottolineare questa sensazione di insicurezza, se non di paura, è la dichiarazione stessa del ministro degli Esteri libanese quando ha affermato che quello impiegato da Israele è un metodo di guerra brutale e senza precedenti in fatto di terrorismo, che in questo caso colpisce dovunque e chiunque. In parallelo, il suo rappresentante presso le Nazioni Unite chiedeva di far cessare questa guerra tecnologica.
Benché Hezbollah venga considerato la punta di lancia della resistenza contro Israele, le altre componenti della società libanese, soprattutto i partiti cristiani, ritengono profondamente ingiusto che l’intero Libano debba pagare il prezzo del conflitto tra Israele ed il movimento sciita. In molti si chiedono: cosa potrà accadere domani?
Gli osservatori più astuti si rendono tuttavia conto che di fronte ad attacchi simili Hezbollah non può restare a guardare. Vi è però anche il pericolo di eccedere. Pur sapendo bene che tra i grandi attori non vi è nessuno favorevole ad una logica di escalation, si rendono anche conto che ad ogni colpo aumenterebbe il rischio.
In un accorato discorso rivolto al Libano, il presidente francese Macron si appellava ad una risoluzione diplomatica del conflitto sottolineando che non è interesse di nessuno intensificarlo.
I timori di Israele: Benché lo Stato Ebraico sia stato fiero del successo dell’operazione contro Hezbollah, la sua popolazione si sente inquieta. Si rende conto di essere ormai coinvolta su tre fronti e vede il paese ogni giorno sempre più criticato e isolato a livello internazionale.
Riguardo la possibilità di un conflitto su più vasta scala in Libano, gli israeliani sono divisi: alcuni premono sul governo per tornare nelle case che sono stati costretti ad abbandonare per motivi di sicurezza, altri invece temono l’eventualità di subire danni maggiori ed anche più vaste evacuazioni.
Parte della popolazione è in rotta da tempo con il governo Netanyahu per tutta una serie di motivi dei quali si è parlato in articoli precedenti, con adesso in più l’andamento del conflitto a Gaza e la questione degli ostaggi. Ogni settimana si svolgono regolarmente manifestazioni di protesta in diversi centri del paese, oggi più che mai diviso. Vi è chi pensa che il governo intenda aprire una nuova crisi a Nord per distogliere lo sguardo da Gaza, chi invece vota per il Likud e le destre radicali sentendosi, se non abbandonato, almeno preso in scarsa considerazione in quanto sfollati, mentre altri, a mio giudizio illudendosi, sperano che per via di tutti questi attacchi il Libano avrebbe potuto sollevarsi contro Hezbollah.
Come troppo spesso accade alla politica, manca una visione di lungo termine su come affrontare e soprattutto risolvere i problemi posti da questo susseguirsi di crisi. Per mostrare la sua forza, Israele va avanti a suon di attacchi sapendosi imbattibile dal punto di vista tecnologico. Sul campo però potrebbe essere un’altra cosa, dato che a nessuno sfugge che Hezbollah non è certo Hamas.
Se sono in molti a parlare delle vittime palestinesi, non si sente nessuno dire qualcosa sugli oltre 700 militari israeliani uccisi a Gaza e di quelli colpiti alla frontiera col Libano ed in Cisgiordania. Di recente a morire è stata anche una soldatessa. Per capire questo dramma bisognerebbe rendersi conto che Israele è un paese piccolo e questi numeri sono in proporzione rilevanti. E’ per questo motivo che sia direttamente o più spesso indirettamente, un gran numero di persone conosceva questi caduti o sapeva chi fossero: l’impatto emotivo è perciò stato tanto più forte.
Di fronte all’avanzare delle operazioni militari vi è il timore che il conflitto possa evolvere in una guerra di attrito: si tratterebbe in tal caso di vedere chi avrà la capacità di durare più a lungo. Palestinesi, israeliani e libanesi sono tre popoli traumatizzati e mentre il governo annuncia che proseguirà le sue azioni contro il Libano, in molti si chiedono se si vada verso una nuova fase del conflitto per concentrarsi sulla frontiera nord. Per altri, invece, l’impressione è che Netanyahu voglia stuzzicare Hezbollah per far intervenire l’Iran ed obbligare a loro volta gli Stati Uniti a farlo: anche se ognuno dice di non voler generalizzare il conflitto non fa però nulla per fermarlo.
Di fronte a questi timori, Nasrallah si augurava che le Forze armate israeliane entrassero in Libano così che Hezbollah potesse distruggere i loro carri e veicoli appena arrivati alle barriere della frontiera. Israele rispondeva che avrebbe proseguito le sue azioni contro il Libano e Netanyahu dichiarava che sarebbero stati usati tutti i mezzi necessari per difendere il confine.
La situazione resta nebulosa e nessuno sa se il premier israeliano abbia intenzione di andare oltre nella sua offensiva. Alcuni osservatori sostengono che sia sua intenzione mantenere efficiente l’apparato militare in attesa delle elezioni americane e tenere le pressioni del governo ad un livello accettabile. In questa logica le operazioni sul campo proseguirebbero a bassa intensità fino al 5 Novembre. Tutto ciò non riduce le tensioni ed ancora una volta sarà tutto da vedere.
A sottolineare i paradossi della situazione, da un lato Ankara accusa Israele di voler allargare la guerra al Libano, dall’altro gli Stati Uniti chiedono ad Hezbollah di cessare gli attacchi contro lo Stato Ebraico.
Hezbollah alle corde: Con questi ultimi attentati si è di fronte ad un evidente fallimento strategico del movimento sciita libanese ed appare indubbio che tra i suoi ranghi stanno crescendo i sospetti e vi saranno delle purghe: Israele è sempre troppo informato e vi è chi teme complicità all’interno di Hezbollah, che ha incassato colpi senza precedenti. Tra i suoi ranghi prudenza e paura. Con le 37 vittime dell’attentato il colpo è stato forte anche sul piano morale per lo smantellamento di quasi tutta la sua rete di comando.
Hezbollah, ricordiamolo, è figlio della Rivoluzione iraniana del 1979 ed in particolare dei Guardiani della Rivoluzione. Diventa egemonico nello scacchiere politico libanese soprattutto dopo il 2006, anno che lo vede resistere con successo all’azione militare di Israele.
Morte di un altro comandante di Hezbollah: Il 20 Settembre, sempre nella periferia sud di Beirut, un drone si avvicinava ad un palazzo e lo colpiva. L’intera facciata crollava sulla strada: il primo conteggio era di 14 morti e 66 feriti. Tra le vittime, un numero di comandanti di Hezbollah in riunione nell’edificio. Di questi, il più importante era Ibrahim Aqil. Tra i fondatori di Hezbollah e parte del Consiglio della Jihad, era un elemento di spicco dell’organizzazione militare come comandante della forza Radwan, l’unità di élite del gruppo.
In passato aveva combattuto in Siria a favore di Assad e nel 1983 aveva partecipato a quei due grandi attentati suicidi che avevano colpito l’ambasciata americana a Beirut e l’acquartieramento dei Marines, mietendo centinaia di vittime. Censito come terrorista dagli Stati Uniti, pendeva sulla sua testa una taglia di 7 milioni di dollari. Fortemente impegnato nel sud del Libano, secondo fonti israeliane stava preparando un attacco contro civili alla frontiera. La sua eliminazione era un ulteriore segno della volontà delle Forze armate di Israele di mettere alle corde Hezbollah. Questa morte, aggiunta a quella di Fuad Shukr, è stata l’equivalente di una decapitazione per il movimento sciita.
Immediate le reazioni. L’ambasciatore iraniano in Libano parlava di “follia di Israele”. Da Tehran partiva il messaggio che questi attacchi erano “malvagi” e Israele era “uno Stato senza scrupoli”. Anche in questo caso gli Stati Uniti si dichiaravano estranei e senza farsi troppe illusioni perseveravano nel tentativo di giungere ad un negoziato. Di questo caos attribuivano la responsabilità ad entrambi i contendenti. In stato di crescente allarme, le Nazioni Unite mandavano agli avversari la richiesta di trattenersi da ulteriori attacchi e di ridurre le tensioni. Da parte delle Forze armate israeliane giungeva il messaggio che non cercavano un ampliamento del conflitto a seguito degli attacchi di Beirut.
Questo susseguirsi di attentati non riduceva certo le tensioni e metteva a nudo le vulnerabilità di Hezbollah.
Nella giornata del 21 Settembre si è assistito a Beirut ai funerali solenni ed organizzati in gran pompa del leader Ibrahim Aqil. In strada, in uno sventolare di vessilli gialli, rossi ed alcuni verdi. Su quello giallo di Hezbollah campeggiava parte di un versetto del Corano che recita: “E colui che sceglie per alleati Allah e il Suo Messaggero e i credenti, in verità è il partito di Dio, che avrà la vittoria”.
Migliaia di militanti e simpatizzanti esprimevano le loro emozioni e di fronte ad una folla commossa ed al contempo furiosa, si vedeva passare il catafalco con la bara coperta da una bandiera. Era portato a spalla da miliziani in uniforme da parata con tanto di berretto granata e guanti bianchi. Sullo sfondo, una banda musicale che accompagnava la cerimonia e combattenti schierati in divisa da guerra. L’impressione che se ne ricavava non era tanto quella di una folla piegata, quanto piuttosto pronta a continuare le operazioni.
Tra questa molti esprimevano la collera di Hezbollah ed il suo fervore di lavare l’affronto e continuare sul cammino della resistenza. Di loro, un numero non indifferente era ulteriormente motivato dal fatto di essere parenti ed amici dei “martiri”. Altri invece, più scettici e non desiderosi di una guerra, vedono però quello che fa Israele e che nessuno lo ferma: il sottinteso è che anche se muoiono i capi la resistenza continuerà. Gli uomini possono anche essere uccisi ma non le ideologie: i morti di oggi genereranno i combattenti di domani.
Anche se tramortito, Hezbollah rimane un osso duro da non prendere alla leggera perché è tutt’ora in grado di schierare decine di migliaia di uomini ed altrettanti missili con i quali colpire Israele. Dopo i colpi subiti, le risposte cui stiamo assistendo non sono sufficienti a ridar prestigio ad Hezbollah: il suo leader Naim Qassem, secondo in comando, ha dichiarato che il movimento è pronto ad affrontare ogni scenario.
Il fronte libanese: Nelle giornate del 21 e del 22 si è assistito ad un diluvio di fuoco alla frontiera. Sono continuati intensi gli scambi di fuoco e gli attacchi reciproci tra Israele ed Hezbollah. Si è trattato dei bombardamenti più intensi dall’inizio del conflitto. Colpiti centinaia di obiettivi militari e batterie missilistiche. Dal Libano sono stati lanciati missili che sono caduti nei pressi di Metulla. Altre raffiche nei pressi delle basi di Liman e Adamit.
In risposta, Israele iniziava una serie di manovre militari a Nord intimando alla popolazione il divieto di avvicinarsi alle aree interdette. Le Forze armate avvertivano anche di restare al sicuro, non sostare in spazi aperti, evitare raduni e tenersi nei pressi dei rifugi.
Il gruppo sciita ha inviato una raffica di missili contro Israele. Un centinaio di questi sono stati anche lanciati più in profondità per poi cadere nei pressi di Haifa. Sono suonate le sirene e migliaia di persone si sono dovute mettere al sicuro. E’ stato dato l’ordine dalle autorità locali di chiudere tutte le scuole del Nord. In questo attacco sono stati utilizzati per la prima volta dal 2006 missili di tipo Fadi-1 e 2, la cui gittata varia più o meno dagli 80 ai 120 chilometri. Le forze armate israeliane si sono invece concentrate nel distruggere rampe di lancio, postazioni e depositi di armi oltre la frontiera.
Dopo i colpi inferti al nemico, l’esercito israeliano si sentiva più sicuro nelle sue capacità di iniziare operazioni di più vasta portata e comunicava di essere entrato in una nuova fase, quella del regolamento dei conti con Hezbollah nel caso continuasse ad appoggiare Hamas. Aggiungeva di essere in grado di colpire chiunque volesse attentare alla vita dei suoi cittadini.
Hezbollah annunciava l’inizio di una guerra senza limiti, la battaglia del regolamento dei conti: “Colpiremo gli israeliani ovunque siano ed anche più lontano”. Per meglio capire il suo spazio di manovra è bene ricordare il discorso di Nasrallah, quando aveva dichiarato che le azioni non sarebbero cessate e non ci sarebbe stata calma sul fronte libanese fino a che non si fosse conclusa la guerra a Gaza. L’altra sua affermazione era che Israele non avrebbe potuto far tornare gli sfollati nel Nord del paese. Questi sono i due steccati all’interno dei quali potrebbe muoversi Hezbollah.
Le reazioni dall’estero non si facevano attendere: dalle Nazioni Unite si moltiplicavano i discorsi allarmati denuncianti il timore di una nuova Gaza nel Libano meridionale e che nessuno dei due avversari voleva la pace. L’Egitto chiedeva un intervento dell’Onu, la Russia si dichiarava preoccupata e la Cina avvisava i suoi cittadini in Libano di lasciare il paese. Biden invece dichiarava che si stava impegnando nello smorzare le tensioni e tenere la situazione sotto controllo.
L’aeroporto di Beirut si riempiva nuovamente di persone in fuga. Sulle strade in direzione della capitale si vedevano lunghe file di auto colme di sfollati provenienti dalle regioni meridionali adesso sotto costante attacco israeliano. Secondo alcune fonti, sarebbero intorno alle centomila persone. Benché fossero stati inviati messaggi via cellulare chiedendo alla popolazione di andarsene, non tutti li avevano ricevuti o hanno voluto farlo e le vittime cominciavano ad essere alcune centinaia. Il Libano precipitava nel caos.
Inutile dire che nel frattempo continuavano le operazioni a Gaza, dove veniva colpita una scuola e uccise 22 persone, e le incursioni in Cisgiordania. Tutto ciò non contribuisce certo a ridurre le tensioni e con questi attacchi la guerra prendeva altre forme.
Considerazioni sul punto a cui è arrivata la situazione: Si è agli inizi di qualcosa di nuovo, battezzato “Operazione Freccia del Nord”, con Israele che sta montando una vasta campagna militare in direzione del Libano con l’obiettivo di colpire le infrastrutture militari di Hezbollah. Se è ancora presto per capire lo scopo di queste operazioni, sembra comunque evidente un piano di allontanare Hezbollah dalla frontiera e metterlo in ginocchio.
Il premier Netanyahu, insieme al governo aveva subito forti pressioni da parte delle famiglie dei circa 70 mila sfollati dalle aree adiacenti la frontiera con il Libano. In risposta la promessa di fare il possibile per assicurarne il ritorno. Potremmo trovarci di fronte al preludio di un’offensiva di terra? L’attacco contro Gaza era iniziato dopo tre settimane di intensi scambi di artiglieria e la popolazione era stata avvisata di abbandonare le loro case. Oppure, al contrario, potrebbe trattarsi di un precipitare della situazione?
La sola certezza è che dopo aver martellato Gaza a sufficienza, Israele si sta concentrando sul fronte settentrionale. Questa operazione è stata infatti chiesta dagli abitanti dell’alta Galilea per poter tornare alle loro case e riprendere le loro attività. E’ stata anche reclamata dal resto della popolazione dell’area che non può più tollerare di essere colpita da attacchi missilistici provenienti dal Libano.
A seguito di tutti questi colpi, Hezbollah non ha la capacità di condurre una guerra in piena regola contro Israele. E’ stato infiltrato ed indebolito sia al suo interno che all’esterno, finanche sulla scena regionale. Le sue difese sono tuttavia molto più solide e consistenti di quelle di Hamas dandogli la possibilità di assestare dei colpi e fare dei danni. Molto dipenderà dall’ampiezza dell’azione dato che ad oggi gli restano ancora dai 120 ai 150 mila missili, dieci volte le quantità che avevano nel corso della guerra del 2006. Sa anche che Israele aveva attaccato Gaza per liberare gli ostaggi ed annientare Hamas: ad oggi ancora non gli è riuscito del tutto.
L’evolversi della situazione dipenderà anche dalle reazioni dell’Iran e degli altri alleati che potrebbero determinare il seguito degli eventi. In questa partita Hezbollah non è solo. I soli invece a far pressioni su Netanyahu sono gli Stati Uniti. Il premier però non sembra disposto a dare retta perché più motivato da una sua agenda politica e da questioni interne. Sembra pensare che a Washington si possa dire ciò che si vuole, ma lui intanto farà quello che meglio gli aggrada.
Sinwar è debole, Hezbollah è debole, l’Iran anche, così come l’amministrazione americana ed infine debole è lo stesso Netanyahu. Impotenti le Nazioni Unite. Il Qatar gioca un ruolo ambiguo, più chiaro è stato il principe ereditario saudita quando ha detto che senza uno Stato palestinese non vi potrà essere nessun rapporto diplomatico con Israele. Per il resto nicchia e comunque la si voglia vedere, ognuno è legato e condizionato dalla propria politica interna. Silenzio intorno al fatto che in fin dei conti Israele sta facendo quel lavoro sporco che nessun altro nella regione ha il coraggio di fare.
Per concludere, vi sarebbe da porsi la domanda su cosa Hezbollah può accettare tenendo sempre conto che se dovesse crollare il Libano, sarebbe anche la sua fine. Quanto ad Israele, sta rasentando una linea rossa e deve stare attento a come si muove, anche se nessuno mette in discussione il suo diritto di difendersi. Ognuno sta cercando di non sfigurare e salvare la faccia.
Giunti a questo punto della situazione, la domanda che devono porsi i due nemici è quella di fino a dove potersi spingere, tenendo conto che, per quando possa essere paradossale, salta agli occhi come l’uno abbia bisogno dell’altro.
Alla fine, i più deboli tra i deboli sono i civili di Gaza e del Libano.
Edoardo Almagià