È molto faticosa la riflessione sull’importanza dell’altro in questo momento storico. Una società ispirata da individualismo e autoreferenzialità tende ad espungerla, nonostante l’altro sia il focus ontologico che abbraccia il senso della vita, la natura stessa della comunità e il fine dell’azione politica. In una visione corporativa della realtà sociale, il diritto della persona diventa valore assoluto e il bene pubblico, quello della comunità, per intenderci, è tale nella misura in cui corrisponde al bene personale. In quest’ottica, la risposta ad un bisogno umano non è quella che lo esaudisce al meglio, ma, più semplicemente, quella che prevede la norma. Ragion per cui valori come sacrificio, abnegazione, solidarietà, gratuità tendono a perdere di senso e di significato e chi tende a perseguirli rischia persino di essere demonizzato. Certo, è un discorso piuttosto cinico, ma quanto lontano dalla realtà?
Capita così che in una scuola dell’infanzia di Gallipoli, frequentata da bimbi dai tre ai cinque anni, non si trovi un operatore in grado di pulire un bimbo non ancora autosufficiente nei bisogni fisiologici. Si chiamano in causa i genitori i quali, magari lasciando un lavoro precario e mal pagato, sono costretti ad un soccorso immediato. La giustificazione della scuola è che non lo prevede la norma. Solo i bimbi disabili, infatti, hanno diritto ad essere accuditi. Non sarebbe stato buon senso, delicatezza, attenzione, aiutare quel bambino non autosufficiente, sia pur non disabile? Domanda inutile. Il senso di umanità ne avrebbe guadagnato.
Qualcosa del genere accade pure nel rapporto di cura, ossia in quella particolare relazione tra malato e personale sanitario. Al di là delle chiacchiere sull’umanizzazione dei luoghi di cura, si coglie sempre meno la capacità di porsi di fronte alla fragilità del malato con quella sensibilità che trasforma un atto tecnico in un gesto d’amore. Anche in questo caso la norma è salvaguardata, ma non l’umanità.
I diritti senza la consapevolezza dei doveri, ossia del valore del fine da perseguire, rischiano di alterare profondamente il servizio all’uomo e i valori della convivenza sociale. Il rispetto sic et simpliciter della norma, insomma, non garantisce una società solidale, perché la persona non ha portato il profumo della sua sapienza umana là dove erano richiesti. La qualità del proprio lavoro, anche se mal pagato, è un atto di dignità e di valore che trasforma nel profondo la società, rendendola migliore. Ogni persona dovrebbe rendersene conto, in particolare i sindacati e la politica.
Pasquale Pellegrini
Pubblicato su Corriere del Mezzogiorno