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I cattolici e la nuova fase della politica italiana – di Domenico Galbiati

“Laici se ci siete battete un colpo. Non restate rinchiusi nei vostri movimenti o associazioni a discutere di questioni di lana caprina e a porre in atto dibattiti intellettualistici o talvolta a rivendicare ruoli clericali, quasi che il mondo dipenda da essi”.  Queste parole perentorie sono un pressante invito che traggo da uno scritto di Giuseppe Lorizio, teologo e docente della Lateranense.

Valgono per tutti. Per i credenti che operano nelle varie forme di impegno sociale, culturale e formativo, oppure ecclesiale e nel vastissimo mondo della solidarietà attiva, del volontariato o delle opere sanitarie ed assistenziale non-profit che vivono quotidianamente il difficile esercizio della prossimità alle persone fragili.
Valgono per i credenti, che intendono assumere nella città terrena, tra le mille contraddizioni, le ombre e luci di un mondo in transizione da una stagione all’altra della sua storia, un impegno francamente e schiettamente, esplicitamente politico.

Sapendo che, in tal modo, sfidano la perplessità incredula, l’indifferenza, se non la larvata ostilità o l’irrisione, comunque una prudenziale distanza di molti ambienti che, sostanzialmente, diffidano della politica, quasi fosse geneticamente ed irrevocabilmente segnata da una sorta di vizio intrinseco, cosicché le anime belle devono tenersene alla larga, in omaggio alla loro intangibile superiorità morale.

Insomma, trafficare con la politica sarebbe, di per sè, una colpa o almeno un compromesso con la propria coscienza immacolata.

Se non altro l’implicita ammissione di una ambizione di potere, di successo, di gratificazione e di visibilità, piuttosto che una disponibilità al “servizio”.

Insomma, la politica come la “più alta forma di carità” non sarebbe che un refrain retorico, per quanto sulle labbra di Paolo VI, un grande Pontefice, che pare l’abbia, a sua volta, ripreso da una altro grande Papa “milanese”, Pio XI.

E se la politica fosse, in effetti, non solo un diritto di ogni cittadino, ma, per il credente, una delle forme di possibile testimonianza della propria fede, secondo la parabola evangelica dei talenti o addirittura una “dovere”, se non nel senso della  militanza in un partito, cui nessuno è necessariamente tenuto, come ovvio, ma, piuttosto, secondo quell’ impegno a “pensare politicamente”, cui ci invita uno dei nostri padri costituenti, Giuseppe Lazzati, ad un tempo uomo politico e formatore di coscienze?

Costruire la città dell’uomo al fine di realizzare quel bene comune da intendere come condizione per il massimo sviluppo di ogni persona è, secondo Lazzati, “la più alta attività umana”.

Possiamo lamentarci e respingere al mittente la pretesa – quale talvolta ancora persiste in certo mondo laico o laicista che sia – che i credenti si limitino a vivere la loro fede nel tempio interiore della coscienza, senza disturbare “il manovratore” delle cose del mondo, se non accompagniamo questo sacrosanto rifiuto con la responsabilità di occupare lo spazio che a noi, alla nostra cultura, alla nostra concezione dell’uomo e della vita compete nel discorso pubblico e nella concreta azione di governo della città ?

Nel limitarsi, senza voler andare oltre, al legittimo e doveroso impegno diretto alla formazione delle coscienze non si insinua forse, se non una timidezza, una sorta di compiacimento, non dico ad adattarci, ma, in qualche modo, a collimare con altre culture, quasi che rivendicare l’originalità delle nostre posizioni, anche sul terreno dell’azione politica, si configuri necessariamente come una pretesa identitaria ostile ed offensiva nei  confronti di chi proviene da frontiere diverse dalla nostra?

Non è così, se è viva la consapevolezza della fede come ”dono” che gratuitamente ci è stato elargito e che, per essere tale, ancora come dono va, a sua volta, trasmesso.

E’ se mai la fede esibita come  “possesso”, un che di autoreferenziale ed esclusivo, da esibire come vessillo, come primato o supposto segno di superiorità, a cadere in un simile equivoco pernicioso.

E non è, per contro, piuttosto vero che l’azione politica può rappresentare anch’essa un percorso volto verso quelle periferie della vita e del suo senso compiuto,  verso cui ci incita ad incamminarci Papa Francesco?

In effetti, un “partito di ispirazione cristiana”, come noi abbiamo inteso costruirlo con INSIEME, ha il compito di tradurre i principi, i criteri di giudizio, che sono contestuali alla visione cristiana del mondo, in un linguaggio che sappia portare all’ evidenza la ricchezza ad essi intrinseca e connaturata, in termini di valore umano e di sollecitazione all’ impegno civile.

Qui siamo nel campo di considerazioni su cui abbiamo ampiamente riflettuto negli anni che hanno preparato il varo di INSIEME. Oggi vale la pena riprenderle e ricordarle a noi stessi, a fronte di due eventi.

Da un lato l’avvio di una nuova fase nella vita politica del Paese, dall’altro la sollecitazione di Papa Francesco – ce la ricorda l’articolo di Domenico Delle Foglie, ripreso da Politica Insieme – per un Sinodo della Chiesa in Italia

Prospettiva che interroga anche i credenti, che, secondo i canoni della laicità che abbiamo appreso da Sturzo, hanno inteso ed intendono assumere un libero e personale impegno di responsabilità politica.

Diretto, in questa fase di grave difficoltà, non ad ambizioni di potere, ma piuttosto ad un compito di verità e di speranza, fondato sui valori della Costituzione e della Dottrina Sociale della Chiesa che, nel rispetto della persona e della sua intangibile dignità, trovano un’assonanza di straordinario rilievo.

Domenico Galbiati

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