Ognuno è prigioniero della propria natura, anzi, ancor di più , si potrebbe dire che è prigioniero della propria vita.
Quando ci si domanda quale sia la nube che copre la mente di chi, come molti osservatori denunciano, si propone di guidare il nostro Paese, pur mancando di autocritica, di competenze e di senso di responsabilità, proprio a questo limite umano deve pensare. La grande scena umana si compone per lo più di esseri prigionieri della propria vita, come ampiamente ci hanno indirizzato a comprendere le monumentali riflessioni dei massimi autori della letteratura mondiale, segnatamente il nostro Pirandello ed il sommo Dostoevskji.
Solo così si può spiegare l’invasione della politica da parte di autentici “dilettanti allo sbaraglio”, spinti solo da personali interessi ed ambizioni, incapaci di conoscere i propri limiti e di assumersi le proprie responsabilità.
Lo spirito della politica “ut serviam” si trasforma improvvisamente in “ut mihi serviat”. Il principe omerico Ettore, sollecitato dalla moglie Andromaca e dal pianto del figlioletto Astianatte a rinunciare alla sfida sicuramente mortale con l’invincibile Achille, respinge i lamenti con amorevole sdegno : ” con quale coraggio potrei, se non sfidassi Achille domani, guardare in faccia i miei sudditi, del cui bene ho la responsabilità; il mio ruolo pubblico è più importante di quello famigliare”. Più o meno questo è il tenore delle ragioni di Ettore. Spinto da questi ragionamenti, l’eroe Ettore è pronto ad affrontare la morte ed a svolgere il proprio compito istituzionale.
Con questi studi e tali letture, fra l’altro, si educavano un tempo gli studenti, sperando che partecipando emotivamente alle vicende degli eroi omerici e non, maturassero un riverbero di quel senso di responsabilità di cui deve essere impregnato ogni ruolo sociale e professionale,soprattutto se di impegno istituzionale; mentre nel contempo erano chini sulle “sudate carte” per apprendere anche le competenze tecniche necessarie , un domani , per l’assunzione delle loro responsabilità nella società.
La civiltà, infatti, è un sistema umano complesso che ha sempre necessitato di manutenzione e di trasmissione: essa non cresce sugli alberi, ma viene da rituali ben precisi; le vecchie generazioni mostrano alle nuove il punto a cui sono arrivate e glielo trasmettono attraverso l’educazione famigliare, l’istruzione scolastica e l’esempio.
I giovani avranno il compito domani di portare oltre il testimone e di raggiungere nuovi traguardi,facendo così, quasi inconsapevolmente e meccanicamente progredire la conoscenza patrimonio della società in cui vivono.
Oggi pare tutto tramontato. La nuova invasione barbarica pare non incontrare ostacoli, né di tipo normativo, né culturale, né dalla capacità di rigetto della politica stessa. Demagogia, cieco giovanilismo, ingannevole egualitarismo, ipocrita solidarismo, veicolati dalla menzogna del progressismo, uniti all’esplosione incontinente di ogni gamma di avidità e di vanità, hanno aperto il vaso di Pandora.
I mercanti, gli incompetenti, gli irresponsabili, la cui presenza nel tempio della politica, della cultura, ed in una parola sola, nella società intera, è stata segnalata in ogni epoca, ma sempre ostacolata con mezzi formali, educativi e pratici, oggi, come denunciano anche le più comuni testate giornalistiche, si sono giulivamente ed irresponsabilmente impossessati delle leve del potere. Molti commentatori, infine, notano che essi, come non sono in grado di riconoscere le proprie lacune originarie, men che meno avvertono il danno enorme che arrecano alla collettività.
Da qui originano la tanto esecrata politica “urlata”, (a volte , visti i contendenti, pure necessaria,) la voragine economica, la perdita di sovranità popolare, l’escissione dal cuore della nostra società umana dei valori secolarmente condivisi: insomma originano tutti i vizi attuali del nostro vivere comune. E dalla deriva politica discende la deriva della società intera, la dissoluzione di intere generazioni “felici” della loro inutilità. Se è vero infatti che una classe politica è espressione della realtà umana che la esprime, è altrettanto vero che un popolo va dove le proprie guide indicano di andare.
La collettività muove i propri passi per aggiustamenti , all’alto od al basso, sotto la sua guida politica e culturale: è innegabile che oggi si assista non ad una caduta verso il basso, ma ad una vera e propria frana culturale, morale, intellettuale e politica. Ecco dunque la necessità di una vera e propria rifondazione POLITICA, fondata dal rinnovamento della cultura in se stessa, della cultura della responsabilità, della competenza e del servizio.
In un tale scenario la vocazione dei CATTOLICI alla partecipazione politica è certamente centrale, per riferimento spirituale, innanzitutto; ma pure per tradizione storica ed esperienza.
Platone nella sua “Repubblica” affermava : ” Non permettiamo che i fanciulli siano liberi finché dentro di loro non stabiliamo una costituzione come in una città”. Ecco il primo segmento in cui l’intervento del pensiero cattolico deve proporsi come attore fondamentale: l’educazione e la formazione delle nuove generazioni, che con l’occhio al passato , possano traguardare il futuro; è compito ineluttabile dei cattolici dedicarsi alla loro formazione spirituale, culturale, sociale e politica.
Un altro campo in cui è indispensabile che il pensiero politico cattolico torni a ricavarsi il proprio spazio è quello della difesa dei cittadini. Troppo spesso si assiste al tradimento del popolo da parte di forze politiche che, giocando con le parole, si definiscono popolari, ma in realtà agiscono in funzione di interessi altrui, elitari o di consorterie che siano. Per il cattolico in politica, rigettato il falso egualitarismo, spicca solo l’interesse di tutti, uguali davanti al Creatore.
Gli ostacoli da superare , soprattutto sul terreno dell’economia, sono evidenti a tutti, ma è questo il momento in cui la ” vigna” del nostro Paese richiede di essere ben dissodata per riprendere a dare abbondanti frutti come in un’epoca non lontana. Il pensiero sociale della Chiesa, che ha tanto illuminato una stagione della nostra economia, appare sempre più attuale in questi tempi di finanziarizzazione. Il soffocamento dell’economia fisica, o reale, da parte della componente finanziaria confligge con i fondamenti stessi del pensiero politico cattolico: la finanza infatti deve essere strumento e non fine delle attività umane.
Questi ed altri spunti, che richiederebbero ciascuno un proprio approfondimento, indicano come per propria vocazione spirituale, culturale e sociale, il pensiero politico dei cattolici sia tutt’altro che definitivamente tramontato, ma che il rilancio attivo del suo ruolo sul campo urga per il bene del nostro Paese; ruolo che, per ovvie ragioni di democrazia non può più essere esclusivo, ma certamente volto alla cooperazione con altre forze sane da individuare nel corso del cammino.
Lorenzo Dini