Una delle motivazioni spesso avanzate a sostegno dei sistemi istituzionali incardinati sul cosiddetto “uomo forte” – secondo l’ ampia varietà delle sue declinazioni che, fin qui, abbiamo storicamente conosciuto – è data dalla supposizione che solo attraverso processi di accentramento del potere, di alleggerimento dei processi decisionali e di “semplificazione” del dato sociale, sfrondando le questioni in gioco, quasi si potessero impunemente ridurre al torsolo, si possano governare società che, come la nostra, si fanno sempre più complesse. In effetti, è vero esattamente il contrario.
L’ argomento è uno dei pezzi pregiati dell’ armamentario populista e va riconosciuto come sia di facile presa. Questa presunta semplificazione, a sua volta, sarebbe raggiungibile, appunto, attraverso percorsi di “personalizzazione” del potere, cioè, sostanzialmente di delega delle proprie personali facoltà di giudizio ad un soggetto sovraordinato, che si sostituisce alla pletora di opinioni che ogni democrazia implica e supplisce al sacrificio di quell’ autonomia critica di cui ciascun cittadino dovrebbe essere orgoglioso ed, anzi, dovrebbe custodire e far crescere con particolare cura.
Per questo il cristianesimo non può mai andare disgiunto da un ideale di libertà e di democrazia, intesa, anzitutto, come ambito necessario ad esaltare la dignità della persona, il pieno esercizio delle sue attitudini morali e delle sue funzioni cognitive, l’ espressione compiuta della sua responsabilità a fronte della comunità cui appartiene.
Ovviamente, una democrazia “sostanziale”, non solo fatta di forme e di procedure, che non si limiti a prescrivere i diritti di cui i cittadini sono titolari, ma crei le condizioni che rendano tali diritti effettivamente esercibili da ognuno.
Una democrazia perennemente “in fieri”, cui ogni generazione, subentrando alle precedenti, dovrebbe recare una vitalità piu’ avanzata, ma, nel contempo, esposta – come succede oggi – al vulnus di laceranti diseguaglianze sociali o, per altro verso, ferita dalla disaffezione di troppi.
La nostra ferma opposizione ad ogni genere di “presidenzialismo” ed ai suoi possibili surrogati – vedi il “premierato” – non nasce, dunque, da un pregiudizio gratuito nei confronti delle forze politiche che lo propongono, ma è il necessario risvolto di una altrettanto forte domanda di più diffusa, più ampia, più ricca, più consapevole, più solidale, più “personale” partecipazione attiva di ogni cittadino alla vita della collettività.
In altri termini – e la questione, a nostro avviso, non può non interrogare i tanti cattolici che si riconoscono nell’ attuale maggioranza di governo – chi fa sua una visione cristiana dell’ uomo e della storia, può riconoscersi in una ideologia politica ispirata ad una sostanziale coartazione degli spazi di espressione autenticamente libera della propria opinione e del concorso continuativo, costante ed attivo alla vita civile e politica del proprio Paese, non delegabile ad altri, se non nelle forme di una democrazia parlamentare, rappresentativa e partecipata?
Abbiamo bisogno di più democrazia, di forme nuove di partecipazione, di strumenti aggiornati di azione politica, di solidarietà civile e di reciproca appartenenza nell’ orizzonte di una comune condizione popolare. Non di un autoritarismo centralista che – come lo propone, nel solco di una tradizione storicamente consolidata, la destra che oggi governa l’ Italia – atomizzi la società e consegni ognuno ad una sostanziale solitudine nei confronti di un potere destinato a mostrarsi via via sempre più autoreferenziale.
Domenico Galbiati