La risposta più appropriata che si possa dare alla condizione stremata del centrosinistra, che lamenta Antonio Polito sul Corriere della Sera, penso sia una seria riflessione diretta a riscoprire la ricchezza del concetto degasperiano di “coalizione”.
Le tre culture che, a giudizio di Polito, mancano all’appello possono trovare tra loro e con la stessa cultura (quale? E bisogna poi tornarci su) della sinistra, una convergenza sufficientemente unitaria da poter esprimere un coerente indirizzo di governo solo a prezzo di tendere, appunto, a questa “unita’ d’ azione”, piuttosto che ad un processo, necessariamente pasticciato e precario, di “uniformita’” che e’ tutt’altra cosa, soprattutto quando concerne, come nel caso del PD, culture politiche diverse e, addirittura, sul piano degli ancoraggi di fondo, perfino antitetiche.
Per unire bisogna saper distinguere, secondo la lezione dello stesso Maritain.
Al contrario, la vicenda del PD, come si è sviluppata dalle origini ai giorni nostri, è la prova sperimentale dell’impossibilita’ che una efficace cultura di governo possa nascere dalla presunta fusione a freddo di concezioni di fondo dissimili.
Infatti, la cultura politica cattolico-democratica dei popolari e quella di derivazione marxista dei DS – tanto per parlarci chiaro e senza prefissi, dei democristiani e dei comunisti, dato che la persistenza delle “case madri” è una cosa seria che se la ride di tutti i nuovismi d’occasione – si sono inceppate a vicenda ed hanno reciprocamente offerto la loro testa, su un piatto d’ argento, alla brigata Renzi il cui acuto, non a caso, risulta dal combinato disposto “riforma costituzionale ed italicum” che ha rappresentato un piatto del tutto indigesto per i due contraenti originari e ciò in consonanza con quanta prova di sé gli uni e gli altri – democristiani e comunisti – avevano dato – indipendentemente, eppure in consonanza – negli sviluppi della famigerata “prima Repubblica”.
Tutto si tiene nella dimensione meno superficiale ed apparentemente caotica dei processi politici perché la politica è geometrica più di quanto non si creda.
Infatti, quando se ne sbagliano i fondamentali, gli errori che ne conseguono si inanellano e si avvitano gli uni sugli altri in modo inestricabile.
L’errore esiziale l’hanno commesso coloro che hanno immaginato potesse esistere un coacervo come il PD, il partito che tuttora – secondo la “ragione sociale” delle origini – non c’è perché non c’è mai stato, né poteva esserci.
Sarebbe bene ne prendessero atto anche i cattolici che ancora gli fanno le fusa. Fatica e tempo sprecato.
Tornare, dunque, allo spirito di “coalizione”, concetto non astratto, bensì di straordinaria ricchezza operativa, come ha dimostrato, anche qui direi “sperimentalmente”, la storia.
La “coalizione” è – ovviamente se condotta alla De Gasperi, con onestà intellettuale, franchezza e reciproca legittimazione – una cosa semplice, chiara e vera.
Esplicita le differenze e le rende reciprocamente fruttuose perché, invece di nasconderle sotto il tappeto, ha il coraggio di guardarle in faccia.
Per di più il tutto avviene alla luce del sole e, quindi, funge da formidabile strumento di partecipazione democratica diffusa, consapevole e critica, alla vita politica del Paese.
Dunque, le tre culture di cui parla Polito, di fatto attestando la crescente domanda – quasi un appello – che, da più parti sale rivolto ai cattolici.
E bisognerà tornarci sopra, così come un approfondimento esige il richiamo alla cultura ambientalista.
Ma intanto, la sinistra decide o no di uscire dalla bolla in cui si va sempre più trasformando in “partito radicale di massa” per riscoprire le genuina radice popolare del suo elettorato tradizionale?
Anche qui un tema da riprendere e su cui esigere risposte chiare.
Domenico Galbiati
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