Il tema del valore strategico dei corpi intermedi è già apparso su queste pagine virtuali. Se si guarda alla politica ci si riferisce alla disponibilità di chi governa a dialogare lealmente con le entità rappresentative del lavoro, delle imprese e ora anche delle famiglie, del Terzo settore, di altre molteplici iniziative della società civile. Dunque quello dei corpi intermedi è un vasto e ricco universo, in espansione. Se questo universo è in espansione vuol dire che la sussidiarietà, nonostante tante difficoltà, cresce. Ma le riflessioni che seguono riguardano solo le associazioni di rappresentanza e non tutte, più specificamente le associazioni di rappresentanza imprenditoriale.
Bisognerebbe partire da lontano, perché queste associazioni hanno una straordinaria longevità e diverse di loro sono centenarie (Confindustria, Confagricoltura, ABI, Confcooperative, Legacoop …). Non tutta la storia, ma quello che è avvenuto negli ultimi trenta anni (e cioè che nessuna di questa organizzazione è scomparsa, mentre tutti i partiti della prima Repubblica sono scomparsi o quanto meno sono stati ridenominati) merita di parlarne. Inoltre, mentre tutte le organizzazioni presenti trenta anni fa sono vive e attive, numerose altre se ne sono aggiunte, forse entrate a rappresentare soggetti prima non sindacalizzati, oppure operanti nelle aree grigie delle adesioni plurime. Infatti è più diffuso di quanto si pensi il fenomeno di imprese che aderiscono contemporaneamente a due (o più) associazioni. Inoltre talune piccole associazioni fanno pensare a un business familiare o professionale.
Una fotografia eloquente è quella dell’archivio dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro tenuto dal CNEL. I CCNL depositati hanno superato i 900, anche se è una contenuta minoranza di questi contratti che viene applicata alla stragrande maggioranza dei lavoratori. Nonostante la proliferazione delle sigle, le posizioni di leadership, o per meglio dire quelle comparativamente più rappresentative, non sono mutate. Dunque quanto avvenuto nel trentennio nel numero, nel ruolo, nei modelli organizzativi, nei contenuti operativi delle associazioni va riesaminato. Chi volesse caratterizzarsi per una capacità di dialogo con la società civile organizzata deve a mano a mano aggiornarne, completarne e precisarne la conoscenza.
Il tema di oggi è al futuro: che effetti manifesterà la Pandemia sull’associazionismo di rappresentanza delle imprese?
Raggruppo gli effetti che ipotizzo così : la frustata, la spallata, le nuove domande dei soci. La frustata riguarda la brusca accelerazione impressa alla digitalizzazione. Naturalmente queste realtà hanno praticato lo smartworking come tanti altri, per periodi più o meno lunghi e più o meno integralmente. La positività di questa esperienza conferma che un certo grado di digitalizzazione era raggiunto e diffuso (dispositivi adeguati, competenze digitali base, etc). Ancora di più queste associazioni hanno imparato a svolgere on line la loro vita associativa e le loro funzioni.
Dunque on line le riunioni degli organi, on line le riunioni di lavoro e i colloqui tra responsabili e collaboratori. On line anche il confronto con le istituzioni e la maggior parte delle audizioni parlamentari. On line anche le trattative tra datori di lavoro e sindacati dei lavoratori per rinnovi contrattuali. On line anche le assemblee, in alcuni casi procedendo al rinnovo delle cariche sociali con elezioni on line. Dunque la banda delle attività che spariscono se non in presenza si è molto assottigliata. Una parte della vita di queste associazioni nella rinuncia alle attività in presenza registra certamente una perdita. Ma ci vorrà più tempo per fare un bilancio vero. Intanto si può mettere all’attivo una robusta capacità di adattamento.
La maggiore familiarità delle associazioni con il mondo digitale potrebbe in futuro migliorare il loro supporto alle imprese associate per progredire nella digitalizzazione stessa. Non dimentichiamo che l’indice DESI (Digital Economy and Society Index) continua a segnalare una certa arretratezza (DESI 2020 colloca l’Italia al 25 posto tra i paesi UE, anche se l’impulso che Covid ha dato agli acquisti on line, alle riunioni su piattaforme, potrebbe aver migliorato la situazione). Specie le PMI hanno bisogno di essere più efficacemente accompagnate nell’e commerce.
Quanto alla spallata, se si fatica a trovare dati certi, non c’è bisogno di un particolare lavoro di intelligence per sapere che l’impatto economico della Pandemia ha diminuito o rallentato la contribuzione associativa, ha ridotto il fatturato delle società di servizi o ha ritardato il pagamento delle fatture, comporterà una riduzione del numero di soci specialmente in alcune realtà (ognuno di noi guardandosi intorno può constatare quali attività ha visto più frequentemente  con le saracinesche abbassate).
La spallata può far precipitare le difficoltà di organizzazioni con un autofinanziamento più stentato. Nessuna organizzazione nazionale ha chiuso in questi anni, ma nel tempo qualche raro default territoriale si è registrato. Di tempo in tempo esercizi di alleggerimento di costi sono stati fatti. Ora le associazioni non rinunciano facilmente alla bandiera e non abbandonano facilmente le posizioni dei gruppi dirigenti (molte motivazioni diverse possono coesistere e interagire). Tuttavia qualche fusione di quelle in cui la necessità si veste di virtù potrebbe sopravvenire nel futuro. Se così fosse una tale ipotetica fusione potrebbe seguire linee di affinità settoriale o di affinità culturale. Non è utile andare oltre nel valutare situazioni allo stato meramente ipotetiche. Più diffuso sarà lo sforzo di resilienza e ripresa che potrà dipendere dalla ripresa dei soci o anche affidarsi a diversificazioni di prestazioni.
Infine, nuove domande potrebbero affiorare e imporsi. L’indebitamento di molte imprese è aumentato. Gestire la gradualità di uscita dall’emergenza ( prolungamento della durata massima delle garanzie pubbliche, ad esempio) sarà un contenuto pressante della rappresentanza. La necessità di capitalizzare maggiormente, presente da tempo ma piuttosto trascurata, diverrà ineludibile. Non tutte le imprese che hanno chiuso riapriranno, non gli operatori marginali, e non tutte verranno sostituite. Ma i marginali spesso sono meno aggiornati e chi li sostituirà sarà invece innovativo. Anche il paesaggio economico delle città, delle vie commerciali, avrà qualche cambiamento.
Non è vero che niente sarà più come prima. Ma non è neanche vero che il libro possa essere riaperto al segnalibro come se niente fosse accaduto, con un heri dicebamus.
Sarebbe importante se le associazioni di rappresentanza sapessero accorgersi rapidamente del nuovo e accompagnarlo. Dobbiamo auspicare che tutte le sofferenze, vissute in vario modo e misura da tutti, ci facciano almeno riprendere più “moderni”, più capaci di accompagnare le persone (anche gli imprenditori, non solo i lavoratori!) nei travagli e nelle opportunità delle trasformazioni. Ci sono questioni più importanti che esulano da queste prime riflessioni. Ne accenno tre per intenzioni di approfondimento futuro (mio o di altri che possano meglio).
Uno: quanto le associazioni armonizzano le loro proposte con il bene comune (o l’interesse generale, non sono propriamente sinonimi) o quanto non vedono più largamente della finestra del settore, del comparto merceologico, della fascia dimensionale, della forma giuridica? Due, nella contrattazione collettiva quali criteri presiedono agli equilibri fra remunerazione del lavoro e remunerazione del capitale? (c’era una volta la politica dei redditi. Oggi il lavoro non è un elemento forte, altro che variabile indipendente…). Tre: la lealtà indiscutibile delle associazioni ai soci lascia spazio a una responsabilità ‘educativa’ (dall’osservatorio delle dirigenze associative si colgono tendenze, opportunità, possibilità, che sono fuori vista per il singolo operatore)?
Vincenzo Mannino

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