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I detenuti stranieri e i problemi per il loro rimpatrio – di Mario Pavone

Quando fu varata la Legge Martelli nel 1990 che, per prima, disciplinò la regolarizzazione degli stranieri già residenti in Italia, seguita dalla Legge Turco Napolitano ed, infine, dalla Bossi Fini, più volte rimaneggiata, nessuno, tanto meno i Governi dell’epoca, poteva immaginare la esplosione dei casi di criminalità diffusa sul territorio nazionale da parte di quanti cominciavano ad arrivare in massa in Italia ed in Europa in cerca di un lavoro e di fortuna, dopo anni di sfruttamento coloniale, come sostenuto dagli esperti di Flussi Migratori.

Per arginare il fenomeno, che finiva per divenire preda dello sfruttamento lavorativo da parte di datori di lavoro senza scrupoli (v. il recente caso di Latina)tanto quanto gli schiavisti che governavano e governano ancora i Flussi dei Migranti dai Paesi d’origine, si ritenne utile impedirne l’arrivo dei profughi  e rifugiati anche se sfuggivano a guerre, pestilenze ed alla miseria.

La teoria si rivelò ben presto del tutto fallimentare posto che i Migranti, negli anni successivi, sono divenuti un fenomeno crescente e fuori controllo per tutti i Paesi della UE.

La reazione dell’Europa è stata prevedibile, deprimente e fortemente inadeguata. Si continua a credere di poter fermare il desiderio o il bisogno di spostarsi con misure di controllo, nonostante la Storia dimostri, in questi mesi, in modo ancora più evidente, che le migrazioni sono un fenomeno inarrestabile e che gli unici effetti di una politica securitaria sono stati quelli di rendere il viaggio più pericoloso e le morti inevitabili.

Nessun accordo, nessun documento condiviso, grotteschi conteggi sulle quote, rinnovati tentativi di chiusura dei confini anche con muri, rimpatri e controlli.

Le cronache dei vertici europei raccontano di un’Europa fuori tempo. Invece di proseguire con patetici tentativi di controllo, chi siede ai tavoli dell’UE dovrebbe avere il coraggio di farsi contaminare dalla forza progettuale di chi arriva. E’ evidente che chi arriva in Europa un progetto ce l’ha, come è evidente che chi la governa un progetto politico non sa neppure che cosa siaIl vero problema dei migranti, in Europa, è quello del ricollocamento.

Le cifre dell’Unhcr, l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati, dicono che solo una minima parte dei migliaia di migranti arrivati in Italia e Grecia, negli ultimi anni, è stata ricollocata negli altri Stati dell’Unione.  Il fallimento si spiega con il rifiuto di molti Paesi ad accogliere anche un solo migrante, specie Paesi del blocco di Visegrad. I paesi più generosi sono quelli del Nord Europa. La Norvegia ha accolto il 100 per cento dei migranti che le sono stati assegnati, la Finlandia l’85 per cento, la Svezia resta più indietro (29 per cento), ma comunque sopra la media europea. Gli Stati membri ricevono 6mila euro per ogni persona accolta, all’Italia e alla Grecia vanno 500 euro per far fronte alle spese di trasporto per ogni ricollocazione.

Nonostante le difficoltà dell’accoglienza in Europa, l’Africa si è messa in cammino. dopo anni di sfruttamento coloniale, di ingiustizie, di guerre tribali, di conflitti religiosi che insanguinano ancora oggi vari Paesi e, tra di essi, Donne, Bambini ed Anziani che scappano dalla fame e dalla miseria e di cui nessuno si cura… La Fame è il vero motore dell’Umanità che nessuno può fermare.. neppure con le cannoniere…!!!

Come hanno ricordato, anche di recente, il Presidente Mattarella e lo stesso Pontefice, “La schiavitù ha rappresentato una delle maggiori vergogne dell’Umanità che ci impone di ribadire la condanna e la battaglia della comunità internazionale contro ogni forma di schiavitù, vecchia e nuova e la tratta dei Migranti, alla base del fenomeno migratorio”

L’odiosa forma di sfruttamento – assimilabile alla schiavitù – rappresentata dalla tratta di esseri umani, è tuttora presente nelle attuali vicende internazionali tanto da avere sollecitato le Nazioni Unite a istituire un’apposita Giornata Mondiale delle Migrazioni per contrastarla.

La tratta di esseri umani “costituisce una e, per sconfiggerla, occorre una risposta decisa e solidale da parte della Comunità internazionale, l’impegno dei Paesi interessati dal fenomeno, con il coinvolgimento degli organismi multilaterali, sensibilizzando l’opinione pubblica, la società civile”, ha sottolineato il Presidente della Repubblica.

E ancora. “Per tutelare i bambini, le donne e gli uomini che ogni anno cadono nelle maglie della tratta occorre perseguire i trafficanti e agire sulle cause che vedono intere popolazioni alla disperazione, tanto da spingerle ad abbandonare le proprie terre d’origine, affidandosi, a rischio della vita, a individui senza scrupoli, l’Italia ha sostenuto l’adozione del protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale e rimane pienamente impegnata a prevenire, reprimere e punire la tratta di persone”..

Nessun Paese è immune da questa sistematica violazione della dignità umana che interpella la responsabilità della Comunità Internazionale nella sua interezza, evitando la tentazione di guardare altrove per ignorare quanto accade tutti i giorni sotto i nostri occhi.

Soltanto la cooperazione tra gli Stati UE può sconfiggere questo fenomeno, con una Unione Europea consapevole dei propri valori e delle proprie responsabilità.

“L’Organizzazione Internazionale del Lavoro, ricorda il Capo dello Stato, denuncia che sono circa 40 milioni le persone vittime delle nuove schiavitù. Di queste, quasi 25 milioni sono costrette al lavoro forzato e 15 milioni a forme di matrimonio forzato”,

Numeri impressionanti che hanno spinto le Nazioni Unite ad adottare l’obiettivo di eliminare il traffico di esseri umani entro il 2030(!!) nonostante l’urgenza di provvedere a causa delle continue morti in mare..

Per il Presidente Mattarella “si tratta di degenerazioni della nostra Società, piaghe da sradicare con fermezza che interrogano le nostre coscienze e ci chiamano a una reazione morale, a una risposta adeguata con un maggiore impegno culturale e civile”.

La criminalità tra gli Stranieri nasce da questo terreno fertile di impulsi amorali e non pago del dolore per le Famiglie che varcano i Confini della UE o il Mediterraneo in cerca di Libertà e Giustizia rimanendo vittima degli stessi trafficanti che promettono una nuova vita in cambio di vile denaro.

Non c’è da meravigliarsi, dunque, se, in mancanza della regolarizzazione e della possibilità di avere un lavoro onesto, una parte di stranieri, quella più malevola e pronta a gesti inconsulti, compia reati sempre più rilevanti per la Nostra Società che influenzano l’opinione pubblica, al punto da desiderarne la espulsione immediata ed il rientro forzato nei Paesi di provenienza, specie per quanti di loro finiscono in carcere dopo aver commesso un reato grave o lieve che sia, ma che diviene impossibile espellere per le ragioni che occorre chiarire.

Va sottolineato, in proposito, che proprio il Carcere costituisce il terreno più fertile per la nascita di alleanze con la criminalità autoctona perché è durante la detenzione che i legami criminali si legano tra di loro per dare origine ad una nuova criminalità, mai conosciuta in passato, le cui gesta delittuose alimentano le pagine dei giornali ed i mass media.

Ne sono riprova la costituzione di Gruppi Criminali tra connazionali dediti a traffici illeciti, come la prostituzione, il traffico di stupefacenti, lo sfruttamento dei lavora tori, tutti reati commessi con il beneplacito della Criminalità autoctona e spesso appaltati dalla stessa in alcune zone chiave del Paese, come narrano le cronache.. A tanto si aggiunga la differenza linguistica che costituisce l’ostacolo più rilevante per la richiesta di provvedimenti che incidano sulla pena o sulle misure alternative alla detenzione, come previsto per i detenuti italiani.

Come evidenzia il Garante dei detenuti del Lazio,” oltre il 70 per cento è in attesa di giudizio o con condanne inferiori ai cinque anni.

Nel complesso, tra imputati in attesa di giudizio e condannati a pene inferiori a cinque anni, si tratta del 75% dei 2.600 circa detenuti stranieri nel Lazio e del 70%  presenti nel Sistema Carcerario.

Secondo gli ultimi dati aggiornati al 31 agosto, risultano reclusi 19.507 detenuti stranieri su un totale di 61.758 ristretti.

Tra le diverse misure che vengono ciclicamente ipotizzate per ridurre la popola zione detenuta straniera del nostro Paese, vi sarebbe anche quella di far scontare la pena detentiva nel Paese d’origine, ma anche soltanto dall’analisi dei numeri, emergono evidenti problematiche di difficile soluzione.

Innanzitutto, il gran numero di persone in attesa di giudizio e, in secondo luogo, la forte presenza di persone condannate per reati che comportano pene brevi sembrerebbero poco compatibili con i tempi delle eventuali procedure necessarie per il loro rimpatrio.

Inoltre, negli istituti penitenziari di tutta Italia i cittadini stranieri sarebbero il 31,5% dell’intera popolazione carceraria e, pertanto, la possibilità di intervenire con misure che possano prevedere un loro trasferimento nei Paesi d’origine potrebbe riguardare poco più del 10% dei detenuti stranieri..

Da ultimo, anche secondo il Ministro della Giustizia, l’attuale sovraffollamento carcerario si risolverebbe facendo scontare loro la pena nei Paesi d’origine, senza con ciò individuare le possibili e praticabili soluzioni al problema..

Naturalmente, questo non è l’unico ostacolo da considerare.

Come afferma Aliprandi (v. I detenuti stranieri e quel miraggio di far scontare la pena nei loro paesi, in Il Dubbio del 13/9) vi sono altre problematiche di ordine giuridico e geopolitico che rendono davvero arduo considerare fattibile ed efficace un’azione di questo genere, stante  le dimensioni del fenomeno ed alcune caratteristiche della popolazione detenuta straniera, come emerge dai dati statistici pubblicati periodicamente dal D.A.P. .

Da anni si discute della possibilità di stipulare accordi con Paesi terzi per consentire ai detenuti stranieri di scontare la pena nei loro Paesi di provenienza ma questi progetti .

faticano a concretizzarsi, come ha sottolineato l’Ass.ne  Antigone nel suo ultimo Rapporto sulle carceri,

il motivo principale è di natura economica poiché nessun Paese d’origine è disposto a sostenere gli elevati costi relativi al rimpatrio e alla detenzione dei condannati.

Attualmente l’Italia fatica a espellere anche i migranti irregolari per mancanza di collabo razione da parte dei Paesi di provenienza

Pertanto, anche nel caso in cui si riuscissero a concludere accordi internazionali, come è avvenuto in passato, è molto probabile che restino senza risultati concreti.

Un altro ostacolo è costituito dalla “clausola di reciprocità” in base alla quale l’Italia dovrebbe accogliere circa 3.000 italiani detenuti all’Estero.

Inoltre, si porrebbe un problema di equità, poiché uno straniero riceverebbe un tratta mento diverso rispetto a un italiano per lo stesso reato.

Non si possono trascurare nemmeno gli aspetti familiari poiché molti detenuti stranieri hanno coniugi, figli o genitori in Italia, fattore che complica ulteriormente eventuali trasferimenti forzati.

Infine, altro punto nodale è la questione della tutela dei diritti umani.

L’Italia ha l’obbligo di garantire che i detenuti non subiscano torture o trattamenti inumani e degradanti, ma non può avere certezze sul rispetto di tali diritti nei Paesi terzi.

A tal proposito, la legge italiana contro la tortura del 2017 ha modificato l’articolo 19 del Testo Unico per l’immigrazione, vietando espulsioni, respingimenti ed estradizioni verso paesi in cui sussista il fondato rischio di tortura per la persona interessata.

A tanto, va aggiunto il problema, sempre di grande rilevanza, della identificazione degli stranieri detenuti ai fini della riconsegna alle Autorità dei Paesi d’origine.

Nelle ipotesi innanzi analizzate, se l’obbligo di identificazione e di possesso e di esibizione dei relativi documenti incombe sul cittadino comunitario e straniero, regolarmente entrato nel territorio dello Stato in base al visto d ingresso regolare ottenuto tramite l’Autorità Consolare, lo straniero entrato clandestinamente nel territorio non soggiace a tale obbligo.

A tanto aggiungasi che, sempre più spesso, le Autorità Consolari dei Paesi delle Migrazioni non forniscono le informazioni richieste dall’Amministrazione Penitenziaria sulla identità del detenuto da espellere che, comunque, resta un soggetto condannato e, in quanto tale, indesiderabile per gli stessi al punto di negarne l’appartenenza per liberarsene.

In tali casi, infatti, è anche prevista la immediata espulsione dall’art. 10 e ss del TU 286/1998 e, laddove lo straniero sia privo dei documenti e lo stesso vettore è tenuto a verificarne il possesso e l’obbligo, ai sensi del comma 3 dell’art 10, di riportarlo nel Paese di provenienza da cui sono esentati i richiedenti l’asilo politico, il riconoscimento dello status di rifugiato e quelli accolti per ragioni umanitarie.

In base all’art.14 del TU, quando occorre procedere ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità ovvero alla acquisizione di documenti per il viaggio, il clandestino può essere trattenuto “per il tempo stretta mente necessario” presso un Centro di permanenza temporanea ed assistenza” con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza giudiziaria e linguistica ed il pieno rispetto della sua dignità e la libertà di corrispondenza, anche, telefonica con l’esterno.

Anche le procedure di identificazione costituiscono ,quindi, un presupposto per l’espulsione a titolo di misura alternativa alla detenzione ai sensi dell’art.16 ,comma 5,nel testo novellato dalla Legge Bossi-Fini, problema più volte affrontato dalla Dottrina e dalla Giurisprudenza, che comporta la necessità, da parte del DAP, di procedere alla identificazione del detenuto sin dall’ingresso in carcere, allo scopo di evitare le lungaggini derivanti da tale identificazione.

Infine, va ricordato che fra le misure adottate di recente dal Consiglio Europeo in materia di gestione delle frontiere esterne e lotta all’immigrazione clandestina, è stata ribadita la “necessità di effettuare rigidi controlli alle frontiere esterne in particolare in entrata”.

Nella misura adottata si sottolinea che ad ogni ingresso debba essere apposto un timbro da parte delle Autorità di frontiera che attesti, oltre alle altre informazioni richieste dal manuale comune, la data di tale attraversamento della frontiera.

Nel caso in cui il passaporto del cittadino di Paese terzo sia privo di tale timbro occorre procedere ad una valutazione della legittimità del soggiorno della persona in questione ai fini della espulsione.

In definitiva, quando  lo straniero si presenta alla frontiera munito del passaporto per la richiesta del permesso di soggiorno, per controllare se il suo ingresso regolare occorre verificare il visto consolare posto che, in caso di mancanza di esso, si debba o si possa presumere un ingresso irregolare.

Sempre in tema di espulsioni, va pure sottolineato che una soluzione “radicale” del problema dei clandestini espulsi è stata adottata dalla Svizzera che ha concluso un accordo veramente singolare con il Senegal volto ad espellere verso questo Paese ogni cittadino dell’Africa occidentale di nazionalità incerta e la cui domanda di asilo sia stata rigettata.

Il Senegal si sarebbe dichiarato disposto ad accettare qualsiasi cittadino africano di presunta provenienza da quell’area, senza porsi alcun problema benché non si conoscano le altre condizioni pattuite tra tali Stati posto che bisognerebbe presumere che il Paese di “accoglienza” abbia avuto qualche vantaggio nel concludere questo tipo di accordo.

Appare sconcertante che si riesca a negoziare le espulsioni all’ingresso dei richiedenti asilo verso un Paese che non è il loro Paese mentre sarebbe necessario sape re quali garanzie di tutela dei diritti fondamentali il Governo senegalese riserverà agli “asilanter” espulsi dalla Svizzera e con quali criteri dovrà rinviare queste persone ai loro Paesi di provenienza.

Da quanto innanzi esposto emerge con chiarezza che la materia della identificazione dello straniero, specie del clandestino, non contiene comunque alcun obbligo penalmente sanzionato, fatta eccezione per la mancata esibizione dei documenti.

La Cassazione ha anche affermato, con una recente sentenza, che l’ingresso del clandestino, privo dei documenti, può essere sottoposto alla sanzione della espulsione immediata ovvero a quella del respingimento alla frontiera in via amministrativa, ma norma ,sarebbe, tuttavia, contra legem poiché, ove imponesse al clandestino di attivarsi per munirsi di un documento di identificazione, equivarrebbe ad una auto denuncia del suo stato di clandestinità e ammetterebbe le condizioni per la sua espulsione.(!!)

Infatti, ove si  pretendesse un simile comportamento, la procedura violerebbe il principio secondo il quale “nessuno può essere tenuto ad agire contro se stesso” posto che una condizione di clandestinità, non sanzionata penalmente, non può trovare una surrettizia soluzione in sede sanzionatoria penale per l’inadempimento di meri oneri di natura amministrativa.

In conclusione, la questione incontra il proprio limite nella circostanza che, sebbene un tale comportamento dello straniero, entrato illegalmente in Italia, possa essere consapevole e volontario, esso potrebbe trovare una sua giustificazione nella impossibilità di possedere un documento valido all’espatrio e come tale renderlo inesigibile da parte dell’Autorità procedente, come nel caso di quei soggetti privi ab origine di documenti o che ne siano rimasti sprovvisti per vicende  estranei alla loro volontà(perché, ad es. sfuggiti a persecuzioni politiche, guerre, devastazioni, ecc.) e che abbiano necessità di richiedere l’asilo politico.

Per costoro, è proprio l’ingresso clandestino in Italia a costituire il “giustificato motivo” dell’omessa esibizione del passaporto o di altro documento di identifica zione per ottenere di risiedere nel Nostro Paese, anche ricorrendo ad un reato per poter sopravvivere..

Resta aperta, quindi, la impossibilità del rimpatrio del detenuto straniero dopo il giudizio ma sempre una volta accertata la sua identità ed il paese d’origine ed il rispetto dei Diritti Umani.

Mario Pavone

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