Il Capo del governo ha dedicato nei primi mesi molte energie a costruire un’immagine internazionale di sé e del suo governo più spendibile, soprattutto in sede europea, di quanto il passato suo e dei suoi compagni di governo facesse temere. Ricordiamo che il suo partito inserito nella compagine europea dei Conservatori è fuori sinora dalle larghe maggioranze di Bruxelles, che la Lega è ancora nello stesso gruppo parlamentare dei francesi di Marine Le Pen e della AfD tedesca e che infine Forza Italia è sì nel Partito popolare ma il suo leader si distingue spesso per uscite poco in linea con questo gruppo.
L’operazione rassicurazione è avvenuta aderendo con convinzione alla coalizione pro-Ucraina (tacitando le voci dissonanti nel governo) e adottando una politica di bilancio prudente (anche aiutata dai risultati economici del precedente governo). Tutto questo era necessario per sedersi al tavolo di gioco ma non ancora sufficiente per vincere o pareggiare qualche mano importante.
Qui contano anche altri fattori. Quando si tratta del dossier immigrazioni illegali non è stato saggio antagonizzare la Francia (anche se magari scoprire la sua ipocrisia in materia potrebbe sembrare giusto) che comunque deve essere un partner; non aiuta neppure quando abbiamo tutto l’interesse che l’Unione bancaria sia condotta sino in fondo,
bloccare (come ultimo paese) la ratifica del MES che a questa architettura deve contribuire (e tantomeno quando vogliamo qualche sconto sul PNRR). Ma è soprattutto nelle politiche interne che emergono difficoltà nel governo e nella sua guida.
Il governo Meloni ha davanti a sé alcune sfide assai impegnative sulle quali si giocherà molto della sua credibilità. In primo piano oggi emerge la questione dell’attuazione del PNRR, che il governo eredita dai precedenti, poi ci sono le iniziative delle quali il governo Meloni è autore in prima persona: la riforma fiscale e le due grandi riforme istituzionali del presidenzialismo e della autonomia regionale differenziata.
Qui limitiamoci al PNRR, che sta calamitando l’attenzione perché ora cade sotto la responsabilità del governo Meloni la parte più cospicua della sua attuazione e stanno venendo al pettine i problemi di messa in opera dei tanti progetti che esso comporta. Problemi che non dovrebbero stupire troppo una classe politica (di governo e di opposizione) alla quale non dovrebbe sfuggire che in Italia c’è da sempre un problema cronico di difficoltà di spesa dei fondi europei tradizionali (quelli delle politiche regionali di coesione). E ora con fondi ben più grandi del PNRR come faremo? Si può naturalmente dare qualche colpa ai governi precedenti che il PNRR hanno concepito ed avviato senza forse valutare appieno questi problemi, si può (come si è cominciato a fare) implorare dall’Europa flessibilità sui tempi e su correzioni in corso d’opera, e magari rinunciare anche a una parte dei fondi o spenderli alla bell’e meglio. Tutto questo rientrerebbe nel consueto arsenale della politica italiana sui fondi europei.
Oppure si può cogliere questa occasione per mettere a nudo i problemi strutturali degli apparati pubblici. Cominciando magari dalla macchina della Presidenza del consiglio alla quale spetterebbe lo sguardo d’insieme e la guida dell’intero processo, per scendere giù fino alle periferie amministrative della repubblica – i comuni – e alla
scarsa cura che si è avuta in questi anni delle loro capacità fiscali e gestionali. Forse non sarebbe male per il governo chiedersi se le sue proposte di riforma istituzionale (presidenzialismo e autonomia differenziata) porterebbero qualche miglioramento alla nostra capacità di implementare il PNRR e di non sprecare una eccezionale messe di risorse oppure se si tratta di riforme concepite ideologicamente e senza una vera connessione con i problemi dello stato italiano.
Ovviamente. è soprattutto al governo che tocca interrogarsi su questo. Però si può chiedere anche alle opposizioni di non cullarsi nella “Schadenfreude” per i problemi dell’esecutivo ma di incalzarlo su soluzioni che aiutino il paese a non perdere una occasione così importante. In particolare è al Partito Democratico sotto la guida della sua nuova leader che toccherebbe dare il la alla condotta dell’opposizione in questo campo.
Maurizio Cotta