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I popolari a Roma e a Strasburgo – di Domenico Galbiati

Che il nostro sistema politico maggioritario e bipolare non sia in grado di dare una effettiva e corretta rappresentanza delle correnti di pensiero, delle istanze, delle opinioni che vivono nel Paese, nelle mille pieghe della società civile, nell’articolazione delle culture politiche, lo dimostrano le vicende cui stiamo assistendo, dall’una e dall’altra parte, in ordine alla formazione delle liste in vista delle europee. Per la verità, andrebbe premessa una considerazione di ordine generale che vale per l’ intero contesto europeo. Una condizione che certo non favorisce, anzi decisamente rallenta e, in un certo senso, depista il cammino verso l’unità dell’ Europa, è rappresentata dal fatto che non esistano partiti di dimensione sovranazionale ed espressamente continentale.

Declinare in chiave europea il consenso elettorale chiesto ed ottenuto in ambito nazionale, cioè in ordine a temi inerenti l’interesse specifico di ciascun Paese, non è un’operazione semplice, tanto meno scontata, se non, per forza di cose, in un modo o nell’ altro, distorsiva. Ci vorrà tempo, molto tempo prima che l’elezione del Parlamento Europeo possa essere affrontata da partiti europei, a tutti gli effetti. Nel frattempo, è pur necessario cercare di allineare il più possibile gli indirizzi politici che si assumono a livello nazionale con gli orientamenti di ordine europeo. Sia per rendere meno indecifrabile agli elettori il quadro complessivo in cui si pone la consultazione. Sia per facilitare, per le stesse forze politiche, la conciliazione tra i due fronti.

La situazione dell’Italia è paradigmatica a tale proposito. Una prima osservazione concerne la cosiddetta “lista di scopo”, uno dei più recenti intrugli della politica nazionale, con il quale forze, sia pure molto distanti dal punto di vista ideale, cercano di rinvigorirsi sommando le loro debolezze. E’ il caso dei cosiddetti “Stati Uniti d’ Europa”. Non si comprende cosa li unisca, se non la comune scalata alla soglia del 4%, dopo di che…liberi tutti. A meno di ritenere che per la costruzione dell’ Europa unita sia sufficiente una comune vocazione in tal senso, a prescindere da riferimenti ideali, valoriali, politici e sociali che siano effettivamente comuni.

In questo modo, viene anche aggirato quel carattere proporzionale dell’ elezione europea che consentirebbe a ciascuna forza di confrontarsi e competere con le altre, senza camuffarsi dentro alleanze aleatorie e confuse, ma mostrando ciascuna il proprio volto effettivo. Peraltro, anche quello che succede nell’ uno e nell’ altro polo dello schieramento maggioritario è istruttivo.

A destra come a sinistra c’è non solo la legittima competizione elettorale tra forze che, per quanto siano alleate sul piano nazionale, concorrono al voto europeo singolarmente. C’è un evidente disallineamento in quanto ai contenuti delle rispettive proposte politiche tra Fratelli d’ Italia e Lega da una parte, PD e Movimento5Stelle dall’ altra. Ne consegue una sovrapposizione sghemba in virtù della quale, il livello nazionale del confronto interferisce con quello europeo e ne confonde i termini.

La stessa cosa succede rovesciando le parti: le posizioni che si assumeranno a livello del Parlamento Europeo – soprattutto quando si tratterà di eleggere la Commissione – difficilmente potranno essere ricomprese e ricomposte pacificamente nel quadro nazionale. Tutto ciò – ma è presto per dirlo e per comprendere come si porrà la questione – in qualche misura, fin d’ora, proietta i risultati della consultazione del prossimo mese di giugno, addirittura sull’ incipit del cammino che, sia pure ancora remoto, ci condurrà, nel nostro Paese, al prossimo rinnovo del Parlamento nazionale.

In un contesto del genere, è soprattutto Forza Italia – di fatto l’unico partito a rappresentare il PPE in Italia e, dunque, l’unica via d’ accesso, per l’ elettorato italiano, alla forza politica che in Europa custodisce i valori della tradizione cristiano-sociale e cattolico-democratica – a ritrovarsi in una posizione per un verso difficile e problematica, per altro verso interessante e potenzialmente creativa, se così si può dire. Non è difficile ipotizzare che, dopo le europee, qualunque ne sia l’ esito, si andrà incontro ad un rimescolamento non solo delle relazioni tra gruppi parlamentari europei, ma anche all’ interno dei singoli gruppi e, quindi, dei rispettivi partiti.

Forse soprattutto il Partito Popolare Europeo dovrà affrontare un confronto interno che, nell’attuale frangente storico, potrebbe rivelarsi decisivo sia per le sorti dell’ Europa che per la fisionomia e l’identità dei “popolari europei”. Identità che sarebbe fatalmente compromessa ove prevalessero, nel PPE, posizioni che dimenticassero la lezione di De Gasperi, Adenauer, Schuman. Grandi statisti, grandi democratici-cristiani che hanno immaginato l’Europa come progetto di pace. E prospettiva di quel possibile nuovo ordine delle relazioni internazionale che diventa oggi di attualità stringente. Soprattutto, progetto sostenuto dalla denuncia e dal ripudio morale della violenza imposta dalla barbarie bellica del nazi-fascismo.

Insomma, un’alleanza del PPE con le destre – men che meno con l’accoppiata Salvini-Le Pen, ma neppure con le pose apparentemente più suadenti, auspice la sempre garrula e sorridente Ursula, dei Conservatori di Giorgia Meloni –
non ci sta con la storia e con l’ ambizione di una forza politica, che, se mai avesse dei dubbi o l’ avesse scordato, deve decidere cosa intende essere. Se vuole o meno continuare ad esprimere una visione dell’ Europa orientata da una forte e coerente ispirazione ai valori del cristianesimo ed alla loro declinazione sul piano politico e civile.

Resta da dire che questa sovrapposizione di piani, quello europeo e quello nazionale, non può restare impregiudicata. Va risolta, riconoscendo che è quello europeo che, almeno così dovrebbe essere “comanda” l’altro. Sia pure a condizione di dover riportare l’ orientamento della politica nazionale nell’ alveo degli indirizzi e delle alleanze europee.

Domenico Galbiati

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