Dalla stampa veniamo a sapere che lo scorso 5 ottobre si è tenuto un incontro a tre: Matteo Renzi, Letizia Moratti e Giuseppe Fioroni con l’obiettivo, questo leggiamo (CLICCA QUI), di partecipare alle prossime elezioni europee con una lista che potrebbe chiamarsi “Popolari e riformisti”. In realtà, stando alla linea di Renzi, il tutto è presentato all’insegna dell’impronta “macroniana” e, quindi, molto poco popolare. Del resto, del tutto plausibile per quell’etichetta renziana di “Renew Europe” che farebbe da cappello ad un soggetto più liberale che rischia di avere poco a che fare con il popolarismo. Termine con cui ci riferiamo a quella grande tradizione distinta sia dal liberismo, sia dal socialismo.
Quella popolare è un’area che pure si era cominciato a costruire a partire dallo scorso 5 febbraio quando, con Giuseppe Fioroni, Giuseppe De Mita, INSIEME e tanti altri, si prefigurò la possibilità di lavorare a questo progetto.
Ora senza entrare nel merito lessicale, e comunque non abbiamo alcuna certezza che quella sia la denominazione finale della lista elettorale pensata, non possiamo che prendere atto di quanto è andato, invece, evolvendo, e a proposito del quale devo precisare come le riflessioni che seguono sono espresse a titolo personale e non impegnano INSIEME.
Non ritengo che il mondo popolare, pur restando obbligatoriamente aperto all’ipotesi di una forte e leale collaborazione con quanti intendono superare in ogni ambito, nazionale, locale ed europeo, lo schema e la mentalità bipolare, possa rinunciare ad essere chiaro, coerente e conseguente con le proprie radici. Quelle che definiscono l’albero e i frutti possibilmente da esso ricavabili. E non può e non deve dare neppure l’impressione di farlo, sia pure sulla base della giustificazione dei sistemi elettorali con cui si deve fare i conti. Non è certo l’aggiungersi ad un’etichetta di altri a risolvere la questione. Se, poi, la collocazione della pianticella nel vivaio è quella dello scaffale liberale o, come sostiene qualcuno, moderato.
I popolari non sono affatto moderati. Un termine molto prossimo, almeno nell’accezione corrente, a provocare quell’urticaria che prendeva don Luigi Sturzo quando sentiva parlare di cattolicesimo conservatore. E noi non lo siamo di certo, né moderati né conservatori. Visto che sin dalla nostra nascita abbiamo parlato della necessità di partecipare ad una “trasformazione” del quadro politico e dell’assetto sociale, così come recita il Manifesto Zamagni (CLICCA QUI).
Moderati sì nel linguaggio e nella postura, ma non certamente nella sostanza politica. E questo a maggior ragione oggi dopo aver avuto la conferma, con la nascita dell’alleanza cosiddetta “Ursula”, che pure ha bisogno di più coraggio in questo senso, che la retta strada dell’Europa non è certo quella del liberismo finanziario proprio degli ultimi 15 anni. La dimostrazione è venuta da almeno tre fattori determinanti: l’azione corale svolta contro la pandemia, la via intrapresa verso una corresponsabilità comune verso il debito e l’avvio della gigantesca opera di transizione avviata con il Pnrr. Tutto ciò è stato possibile pure grazie ad un mutato atteggiamento del Partito popolare europeo, anche se al suo interno persistono delle posizioni di retroguardia. Quelle che, ad esempio, teorizzano la possibilità di un coinvolgimento di una parte dei conservatori. E almeno quelli italiani li conosciamo bene, anche se pure loro provano a confondere le acque con l’aggiunta del termine “riformisti” all’etichetta con cui presentano una posizione di estrema destra.
L’Europa è il frutto di una convergenza di pensieri politici distinti che trovano terreni importanti d’intesa e di collaborazione. In continuità, del resto, con lo spirito con cui essa è nata e si è andata sviluppando. Ma non dobbiamo confondere la convergenza con l’omologazione e accettare la diluizione dei patrimoni di ciascuno solo perché, così facendo, si pensa di presentare una lista alle elezioni qualunque essa sia, senza darle una chiara identità e mancando di fornire un’indicazione sul un progetto solidale europeo che si ha in mente.
Non è questa la via per superare il bipolarismo. Penso che non sia neppure la via per segnalare una novità in grado di spingere l’elettorato, soprattutto quello che alle europee ha sempre anticipato i progressivi passi dell’ampliarsi dell’astensionismo. E se questo timore sarà confermato rischieremo di vedere come anche il prossimo appuntamento del giungo 2024 porterà ben poca cosa. Se non addirittura fare arretrare ulteriormente tutti i tentativi di creare davvero quell’area centrale in cui noi abbiamo sempre creduto.
Una convinzione che ancora ci resta perché siamo certi che sia possibile rigenera il Paese e l’Europa sulla base di autentiche e specifiche proposte in grado di portare nella società italiana più solidarietà e non più liberismo.
Giancarlo Infante