“Abbiamo bisogno di una Politica che affronti i cambiamenti sul senso del lavoro umano, sul rapporto tra mercato e democrazia, sul significato etico dell’agire economico. Lo abbiamo sempre detto, non ci interessano le dinamiche di quella politica che intravediamo sulle pagine dei giornali o nei talk show televisivi. C’è bisogno di lavorare ad un Piano di completa trasformazione del Paese” ( CLICCA QUI ).
Lo abbiamo sempre detto: nei circoli intellettuali, nelle Scuole di Formazione Politica, nei crocchi dopo la Messa domenicale, financo dai pulpiti, ma cosa abbiamo fatto, noi cattolici, in concreto? Cosa abbiamo prodotto in questi anni fine-inizio millennio, nella nostra Italia?
Ci siamo consumati nel nostro “sehsurcht”, nello struggimento, imbarcandoci in scelte politiche di destra o di sinistra, senza sentirci né di destra, né di sinistra, nostalgici di una ricostruzione postbellica dei nostri Padri, ricca di valori e di speranze, ma anche carica di privazioni e di sacrifici, che non eravamo più disposti ad accettare.
Siamo giunti all’oggi, e all’oggi post pandemico, discrasici, in un sistema Italia appesantito all’inverosimile, in una situazione politica dal pensiero debole e rozzo. Qui siamo arrivati e da qui dobbiamo ripartire, senza infingimenti, se siamo cristiani. Un popolo, ricco di storia e di cultura, com’è l’Italia, non può essere egemonizzato da slogan come “Uno vale Uno” o “voglio i pieni poteri”.
Noi Cristiani, presenti da 2000 anni, dobbiamo essere nuovi, propugnare una politica nuova, diversa dal “mainstream” di questa epoca, fragile e confusa e la teoria dei carri militari carichi di nostri fratelli, morti soli ed anonimi, ne è la dimostrazione, ma anche il punto di partenza, un’occasione che un uomo, vestito di bianco, anch’esso solo e traballante sotto la pioggia, ci ricorda, salendo le scale della Chiesa.
Cose concrete bisogna fare: pochi sguardi al passato, tutti rivolti al futuro, non nostro, ma delle generazioni dei nostri figli e nipoti. In queste settimane di pandemia sono venuti fuori, con stridore, e nella loro gravità, i mali del nostro sistema: uno Stato pachidermico, un sistema educativo fuori dal tempo, un sistema produttivo e del lavoro inefficiente, uno stato sociale sbilanciato, una arretratezza digitale, per dirne alcuni.
La burocrazia è perversa ed insostenibile, al limite della sostenibilità organizzativa: esempio è l’ultimo Decreti Rilancio, di estrema urgenza, è pletorico, necessita di 98 decreti attuativi. Il sistema educativo al di là delle decantate soluzioni digitali è al collasso: lezioni a distanza raffazzonate, una digitalizzazione minima sia per soft, che hard-ware, edilizia obsoleta e pericolosa, anomale immissioni di precari.
L’organizzazione del lavoro arranca da tempo tra cassa integrazione e delocalizzazione delle aziende all’estero, spesso nei paesi UE: un esempio Mittal-Taranto. Il Sistema Sanitario Nazionale è stato smantellato dalla voracità delle autonomie regionali, mentre i SSR sono ormai estremamente differenti tra loro e in Lombardia, regione di eccellenza, ha mostrato, durante la pandemia, i limiti del Teorema Formigoni-Marone sbilanciato sull’ospedalità, rispetto alla territorialità e sul privato.
Non abbiamo parlato dell’enorme deficit pubblico raggiunto già in epoca pre pandemia, diventato stratosferico oggi, un debito, che condizionerà generazioni e generazioni future, perché debiti si possono anche fare, ma se sono forieri di benefici e ricchezza diffusa tale da soddisfare, senza grossi sacrifici, il loro ristoro. Per ottenere ciò, però, si deve trasformare il Paese sia da un punto di vista culturale, che valoriale ed organizzativo. Va fatto, quindi, uno sforzo di trasformazione della Società, con adeguate riforme strutturali, che hanno bisogno chiaramente di un forte supporto economico.
È sotto gli occhi di tutti che questa straordinaria occasione di avere credito, viene impiegata solo per immettere liquidità dall”elicottero”, secondo vecchi schemi, con concezioni di economia politica, che già da un pezzo hanno mostrato i loro limiti, senza una visione politica ed economica, organica ed innovativa. Perché non si pensa, proprio in questa straordinarietà, ad uno straordinario periodo di riforme, da attuare subito e con una certa larghezza di mezzi, la cui penuria ha forse impedito a farle? Perché non si dà fondo alle riforme per la semplificazione burocratica, tributaria, della Giustizia civile, del centralismo statale e regionale, per dirne alcune: ci sono tante proposte giacenti, ma ben utilizzabili.
E su questo dobbiamo meditare: sui ritardi dei Cattolici, dei Cristiani italiani, degli uomini di buona volontà, oggi avremmo dovuto essere sale ed ispiratori di questa trasformazione proponendo una Politica di grande respiro, di trasformazione. Non avremmo dovuto subire la trascurataggine, se non il disprezzo-timore, da parte degli attuali politici, per i corpi intermedi della società, del volontariato. Il mondo cristiano si è annullato dalla sua diaspora di una trentina di anni fa.
Ma da tutte le parti d’Italia sorge l’esigenza dei Cattolici e dei Laici di buona volontà di assumersi la responsabilità civica di agire per il bene comune, non disperdendosi, ma unendosi, anche se non in un unanimismo forzato.
“Un nuovo soggetto politico non può che nascere che autonomo”, afferma, ancora, Zamagni. D’accordo, e POLITICA INSIEME è nata per questo. Cosa si aspetta? Forse si, ma stanchi prima di cominciare e sopraffatti da nostalgie, invece di essere attratti dal nuovo?
Quello che per il bruco è la fine del mondo, per la farfalla è l’inizio del mondo.
Alfonso Barbarisi