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I “social” e le parole che possono essere pietre – di Francesco Iannitti

Dal momento in cui decido di esternare il mio pensiero, mettendolo nero su bianco, oggi sul variopinto mondo dei “social”, aderisco ad un modo di vedere che esprime, seppure in parte, relativamente al concetto di  quell’argomento, la mia opinione. Avrò dei “like”, verosimilmente da chi la pensa come me e quindi mi creerò il “mio” popolo; è uso dire che anche Gesù avesse due popoli.

Il “like” diventa quindi il personale indice di gradimento, a volte può essere addirittura un “cuoricino”, con le nuove opportunità che i “social” offrono per poter esprimere se stessi. Certo è che, il mondo dei “social”, contestuale a quello di Internet, ma addirittura più potente, vedasi la nuovissima figura, altresì professionale a molti “zeri”, dell’influencer; questo nuovo “mondo” appunto, tanto virtuale quanto contenente anime, con carne, ossa, sangue e menti pulsanti… a tratti cuori, ci mette in contatto diretto gli uni con gli altri riducendo drasticamente, soprattutto in maniera virtuale, distanze chilometriche e socioculturali.

Il compianto scrittore, Prof. Umberto Eco, ci scioccò, quando nel 2015 pronunciò queste parole: “Il fenomeno Twitter […] dà diritto di parola a legioni di imbecilli”. Quindi tutti abbiamo “democraticamente” la possibilità (diritto) di poter esercitare la parola scritta, altresì sui “social”. Questo non significa tout-court essere degli imbecilli ma, penso che, nel momento di esternare la nostra opinione, dovremmo quantomeno sottoporre ciò che stiamo per dire a quanto, già circa duemilacinquecento anni fa, ci suggerì di fare Socrate, adottando il metodo dei “tre setacci”, questo per far sì che quanto noi esprimiamo, possa essere preventivamente in un certo qual senso “eticizzato”: “Allora”, concluse Socrate, “se ciò che volevi raccontarmi non è né vero, né buono, né utile, io preferisco non saperlo; e consiglio a te di dimenticarlo in quanto se ciò di cui mi vuoi parlare non è né vero, né buono, né utile, perché me lo vuoi dire? Non serve né a me né a te.” Ma, le fake news, purtroppo, esistono, sono una realtà con la quale ci stiamo confrontando sempre più.

Al di là dunque della sensibilità di ognuno di noi, fruitori di notizie, vere o false che esse siano, c’è da considerare l’affinità a tali concetti espressi, in termini filosofici si direbbe che dipenda altresì dalle nostre personali “weltanschauung” (visioni del mondo), costruite sulla base delle nostre credenze, esperienze, formazioni e ambiti socioculturali dove siamo cresciuti, e lì a cliccare sui famigerati “like”, o addirittura a commentare sotto post che sono spesso molto fuorvianti e che sono creati ad hoc da gente che non è ispirata né da buoni propositi e tantomeno da desiderio di informare adeguatamente la “rete”. E tutti noi poi, alimentandone la risonanza, lì a condividere perché, in quel momento, tale notizia, va a soddisfare la nostra emotività, come si suol dire, “di pancia”.

I rischi, li vediamo quotidianamente, sono quelli di creare situazioni di disinformazione e confusione rispetto ai più disparati argomenti che quotidianamente ci “vomitano” addosso i “social” e, dunque, inficiano ulteriormente il vero dal falso, il giusto dall’errore. Come arginare tutto ciò dunque? La mia semplice soluzione è innanzitutto quella di leggere gli articoli, aprendo i post relativi, e vedere cosa ci stia cercando di dire il giornalista o lo “scopiazzatore” di turno, di approfondire l’argomento, qualora ci colpisca e volessimo realmente interagire e, ancor di più, soprattutto quando affine alle nostre “credenze”, di metterlo e metterci in discussione, di chiederci costantemente non se il ragionamento opposto abbia più o meno ragione, ma quanto ne possa avere il mio, che è affine a quello che mi accingo ad avallare con un “like”, insomma, un po’ a mo’ di cowboy, dovremmo tentare di non essere uomini dal “grilletto” facile, in questo caso dal “click” facile.

Le parole sono importantissime e chi le usa impropriamente, o perché intende manipolare, sa consapevolmente di voler arrecare un danno alla società tutta, anche perché, una volta lanciata, una pietra, laddove approda a grande velocità, arreca dolore e se questo dolore viene perpetrato riprendendola e rilanciandola, comprendiamo bene gli effetti devastanti che può ingenerare! Ricordiamoci altresì l’insegnamento compassionevole del Cristo, proprio parlando di pietre e di lapidazioni, una consuetudine riconosciuta nella società e nella Sua terra dell’epoca, e dunque assolutamente plausibile e condivisa, per punire, ad esempio, una donna come la Maddalena.

Non dimentichiamoci poi quanto la nostra psiche possa esserne compromessa perché, come suggeriscono gli autori del libro, “Neuroschiavi”, Macro Edizioni, 2009, a pag. 183: “Un altro punto debole, una porta aperta al condizionamento mentale, consiste nel fatto che il cervello umano non è nutrito solo da esperienze dirette, reali, ma anche da messaggi trasmessi per via simbolica, attraverso la parola, dai suoi simili.”

Francesco Iannitti

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