“Il suicidio assistito, come ogni forma di eutanasia, si rivela una scorciatoia: il malato è indotto a percepirsi come un peso a causa della sua malattia e la collettività finisce per giustificare il disinvestimento e il disimpegno nell’accompagnare il malato terminale. Primo compito della comunità civile e del sistema sanitario è assistere e curare, non anticipare la morte”. Lo scrivono i Vescovi del Triveneto in una nota dal titolo “Suicidio assistito o malati assistiti?”.
“La deriva a cui ci si espone, in un contesto fortemente tecnologizzato – osservano i Vescovi veneti – è dimenticarsi che lo sforzo terapeutico non può avere come unico obiettivo il superamento della malattia quanto, piuttosto, il prendersi cura della persona malata”.
“La vulnerabilità – si legge ancora nel testo – emerge come una cifra insita nell’essere umano e, in una logica di ecologia integrale, in ogni essere vivente. La persona si legge come essere del bisogno: un bisogno che si concretizza nel pianto del neonato, nella fragilità dell’adolescente, nello smarrimento dell’adulto, nella solitudine dell’anziano, nella sofferenza del malato, nell’ultimo respiro di chi muore. Tale cifra attraversa ogni fase dell’esistenza umana. E’ essenziale porre l’accento sul tema della dignità della persona malata e sul dovere inderogabile di cura che grava su ogni persona ed in particolare su chi opera nel settore socio-sanitario chiamando in causa l’etica, la scienza medica e la deontologia professionale”.
I Vescovi inoltre esprimono perplessità “di fronte al tentativo in atto da parte di alcuni Consigli regionali di sostituirsi al legislatore nazionale con il rischio di creare una babele normativa e favorire una sorta di esodo verso le Regioni più libertarie. Destano anche preoccupazione i pronunciamenti di singoli magistrati che tentano di riempire spazi lasciati vuoti dal legislatore”.
La nota infine auspica la creazione di “uno spazio etico nel dibattito pubblico” e la promozione di “una coraggiosa cultura della vita”.
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