Un 25 aprile con la maggioranza degli italiani che si è goduta la libertà. In quanti, però, al di là della celebrazione di circostanza, hanno colto la forza di quel “patto” sottoscritto dalla gran parte del popolo italiano e della volontà di andare persino oltre l’acquisizione dei principi democratici e di libertà pagati a così caro prezzo? E che, da quel giorno, si cominciò a porsi il problema di ricomporre le fratture storiche post unitarie, e quelle aggiunte nel corso dello sciagurato ventennio, nelle relazioni tra popolo e istituzioni?
Il 25 aprile è diventato giorno di libertà anche per quelli delle reticenze e della difficoltà a fare i conti con la storia. Come quanti ostentano ancora la fiamma che arde sulla tomba di Mussolini e sono diventati il primo partito d’Italia. Non per aver mai negato di restare in continuità con il Movimento sociale di Almirante, per nulla disturbato da chi lo definiva neofascista. Comunque ricevendo il voto effettivo di solo circa il 15% dell’intero corpo elettorale, sono alla guida del Governo sulla base del populismo e del sovranismo. Populismo e sovranismo che costituiscono la vera negazione del 25 aprile. Perché quel giorno, invece, si aprì la via di una possibile autentica solidarietà, di una prospettiva di piena equità sociale e della più ampia partecipazione alla vita democratica accettando di misurarsi con la complessità dell’Italia e del mondo.
Oggi, però, dobbiamo fare i conti con una proposta di premierato che stravolge la Costituzione e con la folle idea dell’autonomia differenziata destinata a minare alla base l’unità nazionale, tanto proclamata e sbandierata … e nei fatti aggirata e sabotata.
Il punto, quindi, non è quello solamente di dirsi antifascisti, magari a denti stretti e producendosi in contorcimenti lessicali e zoppicanti sul piano storico, ma contemporaneamente votare al Parlamento europeo contro la mozione che condanna il regime antidemocratico oggi alla guida dell’Ungheria.
Si tratta dunque d’intendersi. Il problema non è mai stato quello del cosiddetto fascismo “storico” oggi non certamente riproponibile, anche se c’è stato pure chi c’ha provato… Bensì del fascismo da considerare in quanto un’ancora viva categoria dello spirito, un’attitudine mentale, un coacervo di sentimenti verticistici, se non persino autoritari, così tanto lontani dallo spirito dei Padri della nostra Carta fondativa con cui si è andati persino oltre un generico antifascismo. La Costituzione, infatti, resta elemento di perenne contrapposizione a tutto ciò che significa statolatria, razzismo, bellicismo, nazionalismo cieco. Una base di partenza su cui costruire una società intenzionata a giungere al superamento delle disparità sociali, dei disequilibri economici e geografici. Essa mette al centro la Persona intesa nella sua ricchezza e complessità.
Ma per molti versi, l’intendersi riguarda pure molti antifascisti. Quelli, ad esempio, che hanno partecipato alla distorsione della Costituzione materiale, che hanno smarrito la strada del solidarismo sociale e partecipato alla costruzione dell’iniquo sistema politico che oggi chiamiamo bipolarismo. Una stagione coincisa con forme sempre più accentuate di verticalizzazione della politica e del sistema dei partiti e dell’allontanamento di quasi la metà del corpo elettorale dalle urne.
Le pulsioni antidemocratiche, che hanno varie forme, e che non sono solo quelle proprie dei post fascisti, si devono contrastare e prevenire guardando alla sostanza e alla qualità della gestione della cosa pubblica e della vita politica da parte di tutti. E, per questo, avremmo bisogno che anche il campo fatto da democratici senza riserve e reticenze si ponesse il problema di giungere ad un 25 aprile di trasformazione e, come quello del ’45, di nuova rinascita popolare e solidale.
Giancarlo Infante